Erbe commestibili, una ricchezza da valorizzare con le Università

Da aprile a maggio, in Valvestino, si andava per erbe. Si raccoglievano i doni preziosi della natura per arricchire di gusti e colori le tavole: tisane, minestre, frittate e insalate avevano il sapore dei prati e della primavera. L’utilizzo in cucina delle piante commestibili selvatiche è un sapere antico, tramandato di generazione in generazione – principalmente per via femminile – che oggi si sta perdendo.
Il progetto
Un rischio che il Consorzio forestale «Terra tra i due Laghi» si augura di scongiurare, grazie a un importante progetto scientifico presentato nei giorni scorsi a Magasa, in occasione del convegno di rilievo nazionale «Conoscenze antiche, paesaggi viventi», organizzato nell’ambito del progetto «FuD We Pic», che coinvolge le Università di Palermo (capofila), Perugia e del Molise, con la partecipazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Patrimonio
Il progetto è dedicato alla diversità funzionale e biologica e alla valutazione dell’habitat delle piante commestibili selvatiche in Italia, in diversi scenari di cambiamento climatico e uso del suolo. Perché ha fatto tappa proprio a Magasa? «Perché la Valvestino – spiega Marilena Massarini, direttrice del Consorzio forestale – è un sito unico in tutto l’arco alpino per ricchezza e diversità botanica.

Qui, la gestione storica dei pascoli, basata su pratiche agrosilvopastorali tramandate oralmente per generazioni, ha dato origine a una biodiversità straordinaria e, di conseguenza, a una conoscenza ecologica tradizionale legata alla raccolta e all’uso alimentare delle erbe spontanee. In Valvestino c’è ancora chi prepara la frittata utilizzando 14 erbe differenti: una tradizione che presuppone una conoscenza di cui oggi sono depositare pochissime persone. È un patrimonio che vogliamo preservare e tramandare».
Tombea e fagiolo
Come già avvenuto per i progetti di valorizzazione del celebre formaggio Tombea o del fagiolo della Valvestino, anche questa iniziativa poggia su solide basi scientifiche – in un quadro multidisciplinare che abbraccia bioclimatologia, etnobotanica, ecologia, antropologia – ma guarda anche, più prosaicamente, all’economia di un territorio montano che non si rassegna alla marginalizzazione sociale.
«Come è accaduto per il tipico fagiolo della Valvestino, recuperato e oggi venduto nei ristoranti – auspica Massarini – lo stesso potrà avvenire per le erbe eduli». Il progetto prevede il coinvolgimento diretto della popolazione locale, depositaria della conoscenza tradizionale legata alle piante commestibili, ed eventi aperti al pubblico.
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