Valcamonica

Omicidio di Laura Ziliani: «Così abbiamo ucciso la mamma»

I dettagli del delitto di Temù nella confessione delle figlie dell’ex vigilessa uccisa l’8 maggio del 2021
Da sinistra Laura Ziliani, Paola e Silvia Zani. Nel riquadro Mirto Milani - Foto tratte dai profili Facebook
Da sinistra Laura Ziliani, Paola e Silvia Zani. Nel riquadro Mirto Milani - Foto tratte dai profili Facebook
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Le hanno versato una massiccia dose di benzodiazepine nella tisana. Hanno atteso che la bevesse e che l’ansiolitico la stordisse. Quando si è addormentata le hanno infilato un sacchetto di cellophane sulla testa e stretto una fettuccia di velcro intorno al collo. Ma il laccio ha fallito. Così Silvia e Mirto hanno deciso di finirla a mani nude. E insieme a Paola, poi, hanno caricato il suo corpo in auto e se ne sono sbarazzati nel bosco, non lontano da casa.

A raccontare le ultime ore di Laura Ziliani e come hanno trasformato la notte del 7 maggio dello scorso anno nella sua ultima notte sono state le figlie e il fidanzato della più grande. I tre sono in carcere dal 24 settembre scorso con l’accusa di omicidio volontario dell’ex vigilessa di Temù e di occultamento del suo cadavere.

La ricostruzione degli istanti in cui si è consumato il delitto è finita agli atti dell’inchiesta coordinata dal pm Caty Bressanelli insieme alle loro confessioni.

Il primo tentativo

Silvia e Paola Zani e Mirto Milani non si sono limitati ad ammettere di aver ucciso la 55enne svanita nel nulla un anno fa e ritrovata senza vita lungo l’argine dell’Oglio a Temù l’8 agosto scorso, esattamente tre mesi dopo. Hanno fatto di più. Hanno anche detto che quell’idea covava da tempo, che ci avevano provato anche il 16 aprile, tre settimane prima, con lo stesso metodo. Hanno confessato che anche in quell’occasione era tutto pronto: dal farmaco per azzerare le difese della donna alla fossa scavata nel bosco per nascondere il suo corpo.

La buca scavata per il cadavere - © www.giornaledibrescia.it
La buca scavata per il cadavere - © www.giornaledibrescia.it

Quel tentativo - al quale Mirto Milani era sulle prime contrario (così almeno avrebbe riferito il 28enne agli inquirenti) - fallisce. Il barbiturico e la tisana si limitano ad intontire l’ex vigilessa, ma non al punto da renderla del tutto inerme e da consentire al «trio criminale» di portare a compimento il suo piano. Quell’insuccesso però si trasforma in una sorta di prova generale. I tre infatti non decidono di accantonare il progetto, ma lo rivedono e 22 giorni dopo lo rimettono in atto, con ben altri esiti.

Il movente

Dalla «triplice confessione» emergerebbe anche il ruolo di leader della più grande delle due figlie. Sarebbe stata Silvia, non solo a procurare i barbiturici, ma anche a guidare gli altri due nel buco nero che si è inghiottito la madre e che ora rischia di fagocitare lei, il fidanzato e la sorella. Perché insieme e Paola abbia deciso di intraprendere questo viaggio sola andata, sono state loro a raccontarlo. Agli inquirenti le sorelle Zani avrebbero confessato di aver ucciso la mamma per troncare per sempre un rapporto divenuto impossibile. Laura Ziliani - avrebbero detto - le trattava da fallite, le considerava delle irrealizzate, le rimproverava perché non avevano un ruolo nel mondo.

E Mirto in tutto questo? Il 28enne fidanzato di Silvia - da giovedì piantonato al Civile in seguito ad un crollo emotivo - ci sarebbe stato, così almeno avrebbe sostenuto, esclusivamente «per amore» della sua ragazza. Versioni - la sua e quella delle due figlie dell’ex vigilessa - che tra loro coincidono, ma che paiono in contrasto con l’ipotesi accusatoria.

Secondo gli inquirenti il movente era ed è ancora da ricercare nei soldi e nelle rendite sulle quali la vittima poteva contare e che le due sorelle e il fidanzato della più grande volevano gestire al posto suo. Per chi investiga la prova è nelle parole della nonna delle due («sono troppo attaccate al denaro» disse la signora Marisa quaranta giorni dopo la scomparsa della figlia), ma anche nelle loro intercettazioni, in particolare in quella nella quale Silvia, 18 giorni dopo il delitto, esulta per aver incassato 900 euro d’affitto, utili per l’acquisto dell’auto.

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