Sinigaglia: «Serie A, tumore, longevità e Brescia nel destino»

Davide Sinigaglia, classe 1981, ora che la vita da calciatore è chiusa, possiamo dire che c’è una data in cui tutto inizia. Il suo legame con Brescia era scritto già in quel 7 febbraio 1999? «È il mio esordio in serie A, unica presenza con l’Inter. Inter-Empoli, finita 5-1, subentrando non ancora maggiorenne a Ventola e con Baggio e Djorkaeff ancora in campo. Era l’Inter di Ronaldo, che però si era infortunato. A farmi esordire fu Mircea Lucescu e assieme a me entrò pure Andrea Pirlo. Per me, varesotto di nascita, visto ciò che hanno significato Lucescu e Pirlo per Brescia, fu una sorta di premonizione».
L’Inter è stata una illusione o un dolce ricordo?
«Direi la seconda: erano anni diversi. Adesso i giocatori migliori della Primavera trovano spazio in B o anche in una bassa serie A in prestito. All’epoca se non eri un fenomeno assoluto, spesso finivi in C1 o C2: io, ad esempio, passai da quell’esordio a San Siro al prestito al Meda. E giocavo stabilmente nelle Nazionali giovanili, dunque ero considerato molto promettente. In ogni caso la carriera non mente mai. Mi sono tolto soddisfazioni tra serie B, serie C e dilettanti, giocando anche un’altra dozzina di volte in A con l’Atalanta. Credo che il mio livello sia stato sempre rispettoso del mio fisico e dei miei compagni: quando capivo di non starci più dentro, arretravo di categoria o prendevo strade diverse».
A 44 anni ha scelto di lasciare il calcio giocato, divenendo subito vice allenatore del Rovato Vertovese. Un’occasione?
«Direi di sì. Due tornei fa vincevamo col Cellatica la Promozione e io ho segnato 22 gol. L’anno scorso, in Eccellenza, ho fatto più fatica, soprattutto per qualche malanno al tendine d’Achille. Ho ascoltato il mio corpo e ho deciso di smettere, perché non mi ritenevo più performante. Parallelamente Mauro Belotti, conosciuto nel campionato vinto a Castegnato, mi ha offerto la possibilità di fargli da vice in D. Avevo avuto la stessa offerta a Cellatica, ho scelto il Rovato Vertovese perché gli impegni lavorativi del Centro sportivo Michelangelo, a San Polo, tra campi da padel, calcetto e da tennis da gestire, mi portano ad essere più impegnato la sera, dunque meglio allenare il pomeriggio».

Sinigaglia nel Bresciano arriva nel 2003. Galeotta fu la stagione al Lumezzane?
«In quell’annata conobbi la mia futura moglie. Brescia è casa mia, mi sento bresciano adottivo e infatti ora ho più amici qui che a Varese. Anche perché, pur avendo continuato a girare l’Italia, ho tenuto qui i miei riferimenti dal 2003-2004 in poi».
Se dovesse parlare al Davide bambino e dirgli che resterà in campo fino a 44 anni, come crede reagirebbe quel bimbo?
«In realtà non mi sono mai posto il problema dell’età. Ho sempre ragionato anno per anno ed è il motivo per cui ho avuto una carriera longeva. Senza problemi al tendine, forse sarei ancora in campo».
Lei ha vissuto entrambi i mondi: è vero che il calcio dilettantistico è più vero di quello professionistico?
«Nei dilettanti puoi lasciarti andare un po’ di più: non hai i media puntati addosso, non hai l’assillo del risultato, non sei sotto processo perché non è un lavoro. E quindi può emergere una persona più sincera, questo sì. Ma non rinnego i miei anni tra i pro».
Un’altra tappa da ricordare è l’estate 2007, quando le viene diagnosticato un carcinoma al testicolo. Come ha reagito?
«Io sono sempre stato un tipo positivo, lo sono ancora. In quel momento però fu dura. Stesso tumore di Acerbi, per capirci, ma fui più fortunato perché dopo l’asportazione non fu necessaria la chemioterapia. Quell’estate ero passato dal Padova al Novara e lì il presidente De Salvo ha diverse cliniche private: i medici furono bravissimi e andò tutto per il meglio».
È salito in A col Cesena, in B con Ternana e Parma, in C col Monza, in Eccellenza con Castegnato e Cellatica. Altro?
«Mi è mancato solo di vincere la serie A. Tra tutti i ricordi il campionato di Terni del 2011/2012 resta nel cuore: si creò una alchimia solidissima tra squadra, staff, con mister Toscano in primis, e città. Non eravamo favoriti, anzi arrivavamo da un ripescaggio post retrocessione e dominammo dall’inizio alla fine. E io segnai i due gol decisivi. Ancora oggi, quando torniamo a Terni, ci stendono tappeti rossi».
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