«Così qualcuno sa che sono viva»: storie dalla Mensa Menni

Come tutti i giorni Mario arriva in bicicletta, ha i capelli arruffati, la barba incolta, veste buffi pantaloni alla zuava. Col suo parlare incespicato dice sommessamente che, da quando si cominciano a contare le persone che finiscono in condizioni gravi in ospedale, ha iniziato a pensare a chi conta veramente nella sua vita ma non ha trovato nessuno. Poi confida che da quando ha perso i genitori chi si sta occupando di lui sono i volontari della Mensa Menni. Sono le uniche persone che gli sono vicine e venire alla mensa è come trovare qualcuno a cui vuoi bene. Aggiunge che, se gli dovesse capitare qualcosa, nei suoi ultimi momenti di vita penserebbe a loro. I volontari rimangono commossi in silenzio.
La solitudine
C’è un filo che lega le parole di Mario a quelle di Marisa (nomi di fantasia). Lei, 50 anni, ogni mattina esce di casa, timbra il biglietto e sale sul bus: direzione Brescia. Qualche minuto di viaggio a separare la solitudine dalla socialità. All’ora di pranzo arriva in via Vittorio Emanuele II, saluta i volontari e si siede a tavola. Tutti i giorni la stessa scena. «Così qualcuno sa che sono ancora viva». Lei ha una casa, può permettersi di fare la spesa e di apparecchiare la tavola ad ogni pasto, ma lo farebbe per un’unica persona, per sé.
Da troppo tempo Marisa è sola e soffre di solitudine. Non un’amica o un conoscente né parenti. Quanto può essere logorante patire l’isolamento? Per incontrare qualcuno, per scambiare quattro chiacchiere, forse anche solo per incrociare uno sguardo e intravedere pezzi di umanità Marisa esce da quelle quattro mura e si fa condurre da un autista sempre diverso attraverso un tunnel lungo qualche chilometro. Anche per questo ogni giorno i volontari di Caritas riaprono quel portone.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
