Spiedo e guerra, quando Gianni Agnelli veniva a Brescia

Tonino Zana
L’Avvocato coltivò per tutta la vita l’amicizia con chi lo aveva salvato nella campagna d’Africa. Visite in Valtrompia, Valsabbia e a Orzinuovi
Nella foto, da sinistra, Bologna, Agnelli e Bugatti
Nella foto, da sinistra, Bologna, Agnelli e Bugatti
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Nella guerra d’Africa Gianni Agnelli fu salvato da alcuni bresciani durante i bombardamenti inglesi e a loro fu grato per la vita guadagnata e per tutto il resto della sua esistenza; incontrò i suoi salvatori, due volte l’anno, per mezzo secolo, talvolta nel Bresciano, qualche volta a Villar Perosa. Anche i millennial sanno chi è Gianni Agnelli, l’avvocato per eccellenza, l’ultimo «re d’Italia» nel mondo. Capo della Fiat, imperatore della Juve, andò in guerra a vent’anni, figlio di quella cultura per cui appena giovani molti gridarono «viva la muerte», prima in Russia e quindi sul fronte africano.

La storia

In Libia, durante un’operazione di ritirata, attaccato dai caccia inglesi, gli indomabili Spitfire, mentre governava un autoblindo, fu ferito gravemente: lo salvarono alcuni bresciani. Intrattenne con loro mezzo secolo di amicizia e con loro si incontrò a tanti pranzi, due all’anno, mediamente, tra Valtrompia e Valsabbia e nell’area di Orzinuovi. Ecco come arriviamo a testimonianze, fotografie e documenti.

Un giorno entriamo nell’aneddotica del già vicesindaco di Orzinuovi, Alessandro Battaglia: lui raccoglie i racconti del padre Domenico, ex sindaco del paese, uomo popolare e curioso della storia orceana. È lui ci dice quel poco che sa perché suo padre era di carattere chiuso. Ripete che il vero personaggio della loro squadra di cinque o sei per il salvataggio di Gianni Agnelli fu uno di Nave, lo chiamavano Tempesta.

Tempesta in Valtrompia

Una domenica, alla Rassegna antiquaria di Montichiari, finiamo davanti a uno stand di Nave. Ci sono due bei quadri di Ciferri, e parlando della sua pittura battiamo cassa alla memoria. Lui, sta lì, si chiama Pasotti, ed è proprio di Nave. Gli chiediamo di Tempesta, di Agnelli salvato, della guerra nel deserto: «Ti chiamo stasera e ti so dire». Alle 20, la chiamata liberatoria: «Sì, lo chiamavano Tempesta, non era di Nave, ma di Caino.

Romeo, l’Avvocato e in mezzo Lorandi
Romeo, l’Avvocato e in mezzo Lorandi

A Caino c’è un amico che sa tutto del suo paese di cui è sindaco da diversi anni, Cesare Sambrici, due metri di simpatia, già lì ad aspettarci il mattino del giorno dopo: «Certo, la storia di Agnelli circola ancora…». Ci accompagna a casa di Cagnòli. Tempesta Cagnòli si chiama Romeo Bologna, nato nel 1921 e morto nel 2001. E poi Giuseppe Lorandi da Orzi nato nel 1922 e morto nel 2004, Gianni Agnelli nato nel 1921 e morto nel 2001, vite incrociate, a rischio di sparizione.

Nelle case Fanfani abita la storia vissuta di Romeo Bologna che con gli altri amici salvò dalla morte Gianni Agnelli. Romeo pestava i piedi per abbracciare Gianni Agnelli e Giuseppe Lorandi pestava i piedi per non spostarsi da Orzinuovi: caratteri, pudori, modi di essere. «Romeo Bologna – ricorda Angelo Lorandi, figlio di Giuseppe – scendeva agli Orzi due o tre volte, e costringeva mio papà a dire di sì: quindi partivano e stavano a Villar Perosa due o tre giorni».

Eccola, la figlia di Romeo Bologna, Elisabetta, a fianco il marito Renato Prandelli e il figlio Giuliano, ipovedente a cui furono dedicate tutte le attenzioni possibili: Gianni Agnelli lo vigilò alle Molinette di Torino per tentare l’intentabile.

Alla fine del ’46

La signora Elisabetta narra la storia. Chiamiamo Egidio Bonomi a Lumezzane, gran collega, che sa tutto di Lume: «Di Bugatti, amico mio, qui, ce ne sono 400… Mai sentito di Agnelli…». Lorandi e Bologna finirono in un campo di concentramento in Marocco e furono giorni di torture e privazioni. Riprende Elisabetta: «Verso la fine del 1946 arrivò la prima telefonata da Torino: l’Avvocato voleva incontrarli, soprattutto Romeo e Giuseppe Lorandi. Rimaneva impressa l’ultima frase di Agnelli: «Ricordatevi amici, se avrete bisogno di qualsiasi cosa, ricordatevi del vostro amico Gianni».

Il gruppo della guerra in Africa davanti a una Ferrari
Il gruppo della guerra in Africa davanti a una Ferrari

Giuseppe Lorandi per il tramite di suo figlio altrettanto galantuomo e di carattere simile al padre rammenta: «Mio padre era tornato dalla guerra e non si riconosceva in un mondo completamente mutato. Partiva con la bicicletta e andava all’Oglio. Lì meditava sul senso di una nuova vita. Diceva che Romeo Bologna era stato il leader della compagnia. Mio padre ricorda la sensibilità dell’Avvocato, quando gli chiese un aiuto, un’auto di qualsiasi genere, anche usata e pagata a buon prezzo, l’Avvocato gli aveva fatto recapitare alla concessionaria Fiat di Brescia una Cinquecento. Mio padre volle che fossi con lui a ritirarla e fu un’emozione. Così accadde a mio padre Romeo. Era abile e abilmente si fece sentire bene a tavola, dalla Pierina a Nave: la mia auto non tira più né a coppe né a bastoni, me ne servirebbe una nuova. Un giorno arrivò una Limousine a Caino, scese un uomo in livrea e chiese di noi davanti alla nostra casa e dietro c’era un dipendente Fiat che guidava una Cinquecento rossa fiammante targata Roma: era il dono a Romeo di Gianni, il suo vero amico».

Durante una visita a Villar Perosa, storico feudo degli Agnelli
Durante una visita a Villar Perosa, storico feudo degli Agnelli

Romeo Bologna era pure pittore e al paese, in ogni casa, sorride il sindaco Sambrici, c’è un suo dipinto. Ed era anche un «manico» a guidare le moto: aveva un Rumi, una Benelli, una Guzzi e vinceva diversi trofei. Appassionò anche la figlia che corse in moto con lui e senza di lui. Fino al giorno del matrimonio. La figlia ricorda col sorriso: «L’Avvocato, per il nostro matrimonio aveva consegnato a mio padre 500mila lire: lui, il bel Romeo, li usò per sistemare il Rumi e la Guzzi… Era fatto così. Quando morì al Sant’Anna, vicino alla sua mano, al letto, sulla sedia aveva messo una grande fotografia di lui e di Gianni Agnelli. Il funerale, a tutti i costi, volle pagarglielo l’Avvocato».

I lutti condivisi

Rinforzarono la loro amicizia anche nella somma tragica di tre figli morti: Edoardo di Gianni Agnelli, Mauro di Giuseppe Lorandi, Stefano di Romeo Bologna. Tre amici, tre figli persi nel deserto, di nuovo, della vita. Le oasi furono gli spiedi, l’Avvocato ne andava matto e saputo di una trattoria – che non c’è più – a Caino, la trattoria La Torre con marchingegno dello spiedo creato da Leonardo da Vinci cercò di raggiungerla, impossibilmente. Infine, seguiamo una traccia romana e forse prendiamo il filo totale della memoria.

Un biglietto firmato da Agnelli
Un biglietto firmato da Agnelli

Verità: l’Avvocato invita Mino Martinazzoli a pranzo, lui è puntuale, l’Avvocato no: quando arriva, l’Avvocato è molto dispiaciuto e si siede di fronte a Mino, girando la sedia come i nostri vecchi di una volta e si mette occhi negli occhi ad ascoltare e a dire con il nostro illustre bresciano. Nella conversazione salta fuori, per forza, il nome di Orzi e di Lorandi e Mino ne parla a Domenico che ne parla al figlio Sandro Battaglia e siamo qui, dopo quasi un secolo, a riannodare i fili di una storia rigogliosa di bene, altro che Stellantis: a Orzi non si sa niente, a Caino la conoscono tutti.

Al «Nonsolobar», tavolo di Gazzetta dello Sport e di una chiacchiera prima del pranzo, tutti conoscono Romeo Bologna e ci indicano la strada per la case Fanfani, dove visse: «È lì a 100 metri, a sinistra, case color verde: Romeo, un tipo unico, amico di Gianni Agnelli…».

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