Calcio

Da Napoli all’Austria, i club tornati grandi dopo il fallimento

De Laurentiis è ripartito dalla C e ha vinto due scudetti, il Salisburgo ruppe con i propri ultras, dominando in patria. Ma ci sono anche Fiorentina, Parma e Como
Aurelio De Laurentiis festeggia lo scudetto del Napoli con Antonio Conte - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Aurelio De Laurentiis festeggia lo scudetto del Napoli con Antonio Conte - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Pasini capofila di un progetto aperto ad altri investitori, che assicuri al Brescia la permanenza tra i professionisti. L’orizzonte è questo. I tempi sono stretti, ma l’apertura registrata lunedì in Loggia è una schiarita nel cielo plumbeo sopra le rondinelle. Ripartire dalla serie C sembrava un incubo appena un mese fa, oggi è diventata una speranza. La percezione si è ribaltata. Ma pure un passo indietro, a volte, può essere il preludio a qualcosa di molto grande. Lo testimonia la storia. Anche quella più recente.

Il Napoli di De Laurentiis

Aurelio De Laurentiis nel 2005, poco dopo aver acquistato il Napoli - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Aurelio De Laurentiis nel 2005, poco dopo aver acquistato il Napoli - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Il caso più eclatante è certamente questo: nel luglio del 2004 il Napoli, dopo 78 anni di storia, venne dichiarato fallito. Aurelio De Laurentiis rilevò il titolo sportivo dalla curatela fallimentare del tribunale del capoluogo campano. Accettò di ripartire con la denominazione «Napoli Soccer» (quella originale venne recuperata nel 2006) dalla serie C1, osteggiata da Luciano Gaucci, che puntava al ripescaggio in B. In corsa c’era pure quel Giampaolo Pozzo che per quasi quarant’anni ha guidato l’Udinese, ceduta poche settimane fa a un fondo statunitense. De Laurentiis si presentò da outsider, digiuno di calcio e dei suoi rapporti di forza politici. Sino ad allora si era occupato soltanto di cinema. Con lui il Napoli conquistò la serie A in soli tre anni (nel 2007) e non la lasciò più. Da allora ha affastellato gettoni nelle competizioni europee e, soprattutto, due scudetti. Per il Brescia è questo l’esempio più virtuoso.

La Fiorentina riparte come «Florentia»

Diego Della Valle, sullo sfondo lo stemma della Fiorentina - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Diego Della Valle, sullo sfondo lo stemma della Fiorentina - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

A Firenze la ricordano bene la torrida estate del 2002. Appena un anno prima la Fiorentina era retrocessa in B, privandosi dei pezzi pregiati (su tutti Rui Costa) per tamponare i guai finanziari. Il primo agosto il castello crollò definitivamente. Vittorio Cecchi Gori si arrese, sprovvisto della forza economica necessaria per pagare gli stipendi ai tesserati e coprire gli altri oneri per la partecipazione al campionato successivo. A garantire la ripartenza tra i professionisti furono il sindaco Leonardo Domenici e l’assessore allo sport Eugenio Giani, primi soci della «Fiorentina 1926 Florentia srl». Subentrarono Diego e Alberto Della Valle, che rinominò il club «Florentia Viola». Il nome Fiorentina tornò appena un anno dopo, a campionato vinto. La Viola venne immediatamente promossa in B per meriti sportivi. Il doppio salto in un anno fu l’anticamera del ritorno in A nel 2004. Da allora i toscani non hanno più lasciato il piano più alto del calcio professionistico.

L’ascesa del Parma

Il Parma festeggia il ritorno in A nel 2018 - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Il Parma festeggia il ritorno in A nel 2018 - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

La licenza Uefa negata nel 2014 vanificò la qualificazione ai preliminari di Europa League e avviò un effetto domino che culminò nel fallimento a marzo 2015. Dopo il crac con Manenti – che aveva acquistato la società da Taci, che a sua volta l’aveva comprata da Ghirardi – i ducali ripartirono dalla serie D. La neocostituita «S.S.D. Parma Calcio 1913» vide la luce grazie alla discesa in campo di sette imprenditori locali. Da lì una risalita repentina, che riportò il club in A in appena tre anni. Lo storico capitano Alessandro Lucarelli visse interamente quell’epopea, ritirandosi dopo l’ultima promozione: in cuor suo, forse, Dimitri Bisoli sogna di emularlo. In mezzo ci fu l’interregno del cinese Jiang Lizhang, il ritorno provvisorio dall’imprenditoria parmense e l’avvento di Kyle Krause, attuale proprietario. Negli ultimi anni il Parma ha fatto la spola tra A e B, ma sempre poggiandosi al «cuscinetto» di una struttura societaria solidissima.

Como, dall’incubo alle stelle

Cesc Fabregas: oggi c'è lui alla guida del Como - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Cesc Fabregas: oggi c'è lui alla guida del Como - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Leggi Como e pensi all’ambizioso progetto degli Hartono, alla parata di stelle di Hollywood in un Sinigaglia vetusto eppure affascinante, adagiato sulla sponda del Lario. La ricchissima proprietà indonesiana ha rotto i sigilli del paradiso dopo anni di purgatorio. Nel 2016 il Como retrocedette in C dopo un solo anno in cadetteria. Quell’estate arrivò la dichiarazione di fallimento della società, che venne sottoposta a esercizio provvisorio. La dirigenza si oppose, ma il ricorso venne rigettato dalla Corte d’Appello di Milano. Dopo tre aste fallimentari deserte la società passò nelle mani di Akosua Puni, moglie del calciatore Michael Essien, per 237mila euro. La squadra disputò i play off di C, poi sparì a causa di alcune inadempienze. Il sindaco Mario Landriscina nominò una commissione incaricata di esaminare le proposte dei soggetti interessati: il titolo sportivo passò nelle mani di una cordata che ricostruì dalle fondamenta, mattoncino dopo mattoncino, una squadra per Como. Nel 2019 la promozione in C, due anni dopo quella in B. Contestualmente arrivarono gli Hartono, proprietari della PT Djarum, azienda attiva nell’industria del tabacco. Oggi il Como, dopo una comoda salvezza in A (conquistata dodici mesi fa), sogna l’Europa.

La scissione austriaca

Il Salisburgo festeggia una vittoria nei preliminari di Champions nel 2021 - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
Il Salisburgo festeggia una vittoria nei preliminari di Champions nel 2021 - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it

A certi principi il cuore caldo del tifo non deroga. In questi giorni di incertezza, ipotesi e scenari, qualche appello tra gli ultras biancoblù si è levato: qualcuno grida «no alla fusione» (che tecnicamente non potrebbe comunque essere realizzata), per altri il mantenimento dei colori sociali del Brescia dev’essere un aspetto primario di qualunque progetto di rinascita. Il caso Salisburgo in questo quadro è calzante. Nel 2005 fallì il vecchio Austria Salisburgo. Sulle sue ceneri nacque la società che conosciamo oggi, controllata dalla Red Bull. Dietrich Mateschitz, il magnate che prese le redini del club, non volle scendere a patti con i tifosi, già sul piede di guerra per il cambio di denominazione: il club abbandonò gli storici colori sociali (il bianco e il viola) e si tinse di biancorosso, in ossequio al marchio Red Bull.

Dietrich Mateschitz - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Dietrich Mateschitz - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Fu quello il punto di rottura che portò alla nascita della Sportverein Austria Salzburg, fondata dagli stessi ultras intolleranti verso la rivoluzione totale operata da Mateschitz. Da allora il «piccolo Salisburgo» ha raggiunto al massimo la seconda divisione, districandosi in un groviglio di problemi finanziari dei quali non è mai riuscito a liberarsi del tutto. Nello stesso lasso la Red Bull ha vinto quattordici campionati e nove Coppe d’Austria. L’eterna lotta tra passione non negoziabile e logiche imprenditoriali.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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