Rossi, ct dell’Ungheria: «Lucescu il mio modello insieme a Bielsa»

In Ungheria Marco Rossi è un idolo: guida la Nazionale dal 2018, con lui il movimento calcistico magiaro vive una primavera che ha già fruttato risultati importanti a livello internazionale. Mircea Lucescu è stato suo allenatore per due stagioni a Brescia, dal 1991 al 1993: «Prima di assumere l’incarico da commissario tecnico della Romania, rilasciò un’intervista nella quale mi consigliò alla Federazione. Gliene sono grato, è una testimonianza della stima che nutre nei miei confronti. Stima che è indubbiamente reciproca».
Rossi, quali ricordi affiorano di quegli anni vissuti insieme?
«Mircea era reduce dall’esperienza a Pisa. Ebbe qualche difficoltà all’inizio, soprattutto nella comunicazione. Parlai con altri leader della squadra, avevamo capito di trovarci di fronte a un allenatore diverso dagli altri, di grande spessore. Era molto diretto, a volte forse pure troppo. Ma ci impegnammo a supportarlo, e i risultati ci diedero ragione».
In effetti: pronti via, fu promozione in A.
«Ottenuta, se non a mani basse, in maniera più che meritata. Come non meritammo, a mio avviso, la retrocessione un anno dopo nello spareggio con l’Udinese».

Lei oggi è un tecnico importante: quali sono gli insegnamenti più preziosi che le ha trasmesso Lucescu?
«Da calciatore ho avuto la fortuna di lavorare con lui e Marcelo Bielsa. Sono queste le due figure alle quali mi ispiro maggiormente. Uno spera sempre di poter mutuare solo le cose positive, e invece magari ho preso quelle negative, che peraltro erano davvero poche (ride, ndr)».
Perché è difficile affrontare una squadra di Lucescu?
«Cura ogni minimo dettaglio, è maniacale in questo. Ma lo faceva già quarant’anni fa».
È vero che fu lui a inventare la match analysis?
«Sì. Mircea, insieme ad Adriano Bacconi, iniziò a mostrarmi brevi filmati che illustravano le caratteristiche degli avversari che avrei affrontato. Grazie a quelle indicazioni riuscii ad annullare Thomas Hässler, ala destra tedesca della Roma. Lui era rapidissimo nel breve, che per me era un punto debole. Ma lo studiammo talmente in profondità che con me non vide palla».
E voi calciatori come percepiste questa novità?
«Per un allenatore è fondamentale convincere i giocatori, essere stimato e credibile. Lui lo era. Ci furono dei piccoli screzi, anch’io li ebbi con lui. Ma tra uomini ci si confronta e si risolve sempre».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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