Marco Rossi: «Io ancora all’Europeo con Brescia nel cuore»

«Dopo dodici anni all’estero, credo che se tornassi in Italia sarei considerato una scommessa come allenatore, e poi potrei sedermi solo sulle panchine del Torino e del Brescia, le società che porto nel cuore».
Parla così Marco Rossi alla vigilia del secondo Europeo consecutivo alla guida di una nazionale ungherese che ha portato in alto a livello continentale con risultati e gioco («ma quel che conta è principalmente il risultato, solo dopo si può disquisire di tattica») che lo hanno portato a diventare l’idolo della tifoseria ungherese.
«Qui sono trattato come una star, non posso negarlo, ed è uno status che non avevo nemmeno da calciatore. Una cosa difficile da spiegare, soprattutto inimmaginabile quando dodici anni fa ho iniziato ad allenare in Ungheria. Dal 2018 sono sulla panchina della Nazionale e mi avvio a diventare - se non accade nulla di particolare - il secondo tecnico più presente sulla panchina magiara (Baróti è irraggiungibile a quota 141, Sebes, 66, ne ha solo 5 in più; ndr), un onore per il quale io ed il mio secondo Cosimo Inguscio non possiamo che essere riconoscenti alla federazione ungherese».
Come pure una tifoseria che è caldissima...
«Loro ci danno sempre una grande spinta e ci sono vicini anche in questi giorni prima dell’Europeo per il quale le aspettative in Ungheria sono grandi, a volte non realistiche, che ci danno un surplus di carico mentale. Noi, però, dobbiamo vedercela con la Svizzera (contro la quale esordiremo sabato a Colonia) e la Germania (che abbiamo quasi eliminato tre anni fa ed affronteremo mercoledì 19 a Stoccarda), che ci precedono nel ranking ed hanno allenatori ai quali non mi posso paragonare. Possiamo invece giocarcela con la Scozia, ultima avversaria del girone eliminatorio. La speranza è superare il primo turno, ma se dovessimo farcela potremmo affrontare una tra Italia, Croazia e Spagna... La realtà è una cosa, il sogno è un’altra, ma bisogna essere bravi a vivere questi momenti. Parlo di me, che sono arrivato qui un po’ per caso visto che stavo quasi per cambiare lavoro, e dei giocatori, ai quali ogni giorno chiedo di dare di più, perché in queste occasioni bisogna dare il massimo».
Con Marco Rossi l’Ungheria è salita dalla serie C della Nations League alla serie A e nell’ultima stagione ha spedito in B l’Inghilterra. Ma ricorda ancora gli inizi alla Berretti del Lumezzane dopo aver chiuso la carriera al Salò?
«Benissimo e se proprio ho un rammarico nella mia carriera da tecnico è proprio dopo il primo anno in rossoblù e la salvezza ottenuta con una squadra giovanissima. Ero diventato il simbolo di una generazione di nuovi allenatori che comprendeva anche Sarri, Ballardini... Si parlava di me al Brescia, invece arrivò Maran».
Torniamo all’Europeo, che l’Ungheria affronterà con il consueto 3-4-2-1...
«Lo stesso modo di giocare del Bayer Leverkusen, ma solo in Svezia ci hanno messo a paragone. Però sappiamo che ora anche le avversarie ci temono mentre sino a pochi anni fa non era così. Non so fino a quando andrà avanti questa crescita del calcio magiaro, ma nel frattempo lavoriamo per fare bene anche in questo Europeo, dopo aver sfiorato tre anni fa una qualificazione da molti considerata impossibile».
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