Bianchi: «Brescia, è il momento di ritrovare il senso di appartenenza»

Un passato che fa parte dei ricordi e che ora, dopo la cancellazione della sua storia, lo si può far rivivere solo parlando di quei giorni vissuti in prima persona. Come sfogliare un album di famiglia che ti fa tornare indietro e che resta, tra la nostalgia e i sorrisi di un tempo, l’unico modo per non dimenticare quella storia così intensa. Così piena di sé.
Quella carezza al tempo che fu ha la mano di Ottavio Bianchi, bresciano doc che, nonostante un percorso di vita che negli ultimi decenni l’ha portato altrove, non è certo rimasto indifferente al dramma sportivo che ha colpito Brescia e il Brescia: «Ho provato un grande rammarico – sospira l’ex rondinella degli anni ‘60 e poi stimato e vincente mister –. Sono bresciano, ho sempre seguito la squadra, anche se negli ultimi anni tutto era cambiato».
Punto fermo
Sotto quale aspetto principalmente? «Beh, ai miei tempi si puntava tutto sul vivaio. E questo dava un grande senso d’appartenenza. Eravamo quasi tutti bresciani, era davvero una squadra di amici. Ecco, quello che mi spiace notare da bresciano che, forse per questo senso d’appartenenza, lo stadio era sempre pieno seppur stiamo parlando di un altro calcio, di un’altra epoca. Vero che le tv non c’erano, ma è un dato di fatto che realtà vicine a Brescia abbiano oggi un altro seguito, un’altra passione più viscerale per la squadra della loro città. A Brescia per portare ora il grande pubblico allo stadio devi fare un campionato da protagonista o essere in A, dove, con l’arrivo delle grandi squadre, i tifosi al Rigamonti si moltiplicano. Ed ora, anche questa mazzata…».

Pasini
Lei come vede, in un’epoca di fondi e proprietà straniere, il possibile approdo di Giuseppe Pasini? «Io sono di vecchia data e una notizia del genere mi riempie di gioia. Anzi, sa cosa le dico? Che se così sarà, tornerò al Rigamonti a vedere qualche partita del nuovo corso. Amo pensare ad un Brescia bresciano. Certo, Pasini è un grande imprenditore seppur "l’azienda calcio" è una cosa completamente diversa, ma lui la sua gavetta se l’è già fatta con la FeralpiSalò. Se poi, come si sente, ci dovessero essere altri imprenditori di spicco del territorio a dargli una mano, credo che questo rappresenti un viatico molto, molto importante per Brescia e il Brescia».
Istituzioni e vivaio
Cosa la fa gioire? «Prendere atto che il Brescia non è abbandonato al suo destino. Il calcio è un fatto sociale. Con l’entrata delle multinazionali è diventato qualcosa di diverso, ma io resto ancora legato a quel calcio passionale, quello dei Beretta, dei Bortolotti. Il mio calcio era e rimane quello. Dove c’è il sentimento e, nel caso del Brescia, quella sana brescianità. E mi auguro che anche le istituzioni possano dare una mano, finalmente, concreta».
Un nuovo Brescia che deve puntare soprattutto su cosa? «Mi ripeto: il settore giovanile. Allora lo impostò Carlino Beretta che fu un precursore sotto questo aspetto. Servono ancora bravi dirigenti che curino il vivaio, è troppo importante. Ma questo risveglio della brescianità mi conforta».
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