Magro e la Germani no-limits «Non vogliamo essere meteore»

Scena uno: «Pre-season. Cinque contro cinque. Un pallone sta per uscire dal campo e Lee Moore si tuffa per recuperarlo. Un volo alla Rodman. Tutti, sia compagni di squadre che avversari durante quell’esercitazione, vanno da lui, si complimentano e lo aiutano a rialzarsi». Scena due: «È il primo allenamento dopo la sconfitta dell’Unipol Arena contro Reggio Emilia. Confronto con i giocatori, da uomini. Capiamo, anzi sappiamo che c’è qualcosa che non va, e che dobbiamo migliorare». In quei momenti ha capito di avere a che fare con un gruppo speciale. La risposta è nei fatti recenti, con la Germani che oggi è la terza potenza del campionato e ha una serie di vittorie aperta da sei turni. Se la Pallacanestro Brescia è la squadra del momento, Alessandro Magro è l’allenatore più in vista. Ma «momento» non è la parola chiave, perché «non vogliamo essere una meteora. Vogliamo consolidare la nostra posizione nel tempo. E riconquistarci l’Europa sul campo». Il tecnico toscano ha vissuto da vice di Andrea Diana la striscia di nove successi d’inizio stagione 2017-2018. Era invece a Kuban quando Esposito si prendeva la terza piazza nell’annata poi stoppatta dal Covid.
Che differenze ci sono con quelle squadre?
«Con Diana fu un momento positivo figlio della grande solidità di un progetto che aveva confermato staff e squadra. I protagonisti erano gli stessi e si cominciò alla grande, in un campionato che non aveva l’Olimpia Milano o la Virtus Bologna di oggi. La squadra di Esposito fu costruita in modo molto intelligente. L’andamento in campionato viveva anche della spinta propulsiva di ottimi risultati in Eurocup. Tutto girava molto bene».
Metà febbraio: dopo gli impegni con Fortitudo Bologna e Trieste, arriva la Final Eight di Coppa Italia...
«Contro la Effe sarà ultima contro terza. Ma si tratta di una partita complicatissima. Loro attaccano forte. In generale, a prescindere dalla nostra posizione, sogno una Germani che sappia sempre trovare le giuste motivazioni. Un po’ come accadeva alla super-Siena di cui ho fatto parte. Dobbiamo cercare di arrivare all’appuntamento di Pesaro con la fiducia e con le prestazioni che stanno caratterizzando questo nostro periodo positivo».
Il gioco di Brescia è quasi unanimemente riconosciuto come uno dei più belli di tutta la serie A. C’è qualche allenatore che lavora in un modo simile al suo? E qualcuno che gioca in modo diametralmente opposto?
«Banchi, il mio mentore, crede molto nel condividere il pallone. E lo stesso faccio io. Condivisione della palla in attacco e degli sforzi in difesa: sono concetti chiave. Ho moltissima stima anche di Ramondino, che sta svolgendo un ottimo lavoro a Tortona. Poi ci sono i fuoriclasse. La difesa di Messina è semplicemente impressionante. La transizione di Scariolo pure. Nel loro operato vedi anche tutta l’esperienza internazionale. Un basket distante dalla mia idea? Quello che specula sulle situazioni di isolamento».
A Brescia sta riuscendo quasi tutto. La prossima sfida è coinvolgere di più nel gioco Paul Eboua, fin qui un po’ ai margini?
«Assolutamente sì. Credo fermamente in lui. Ed è un peccato, perché in un frangente in cui si stava allenando molto bene e stava guadagnando un maggior impiego in partita è stato fermato a lungo dal Covid. Lavoreremo per coinvolgerlo ancora di più. Anzi, Paul può essere il nostro nuovo acquisto». Magari da pivot? «Sapete che non sono un fanatico dei ruoli. Però sì, ha una fisicità e caratteristiche non troppo differenti da quelle di Cobbins. Un suo maggior coinvolgimento ci consentirebbe alcune opzioni interessanti. Ma è altrettanto vero che non è semplice alterare degli equilibri che stanno portando a grandi risultati».
Prima delle ultime sette vittorie in otto partite la squadra ha vissuto fasi altalenanti e ha preso vuoti d’aria. Qual è il commento o la frase che ha letto o sentito che le ha fatto più male? «Ho guardato mio padre fare il pane per vent’anni, ma questo non mi ha mai reso capace di svolgere il suo lavoro. Questo significa che osservare qualcosa non significa automaticamente saperla fare. Poi, sui social, ciascuno può esprimere come vuole il proprio pensiero. È un peccato quando gli attacchi sono personali e non riguardano il modo in cui giochi. Spero solo che le persone riconoscano il valore del nostro impegno».
E il complimento più bello?
«In tanti, anche addetti ai lavori, si fanno sentire per sottolineare la qualità di ciò che esprimiamo in campo. Tra questi, anche Marco Crespi, collega e commentatore sportivo, ndr. Qualcuno scrive anche: "Erano anni che non mi divertivo così". La cosa più bella, però, è tornare da Venezia col pullman, a tarda notte, aprire la porta di casa e trovare il biglietto di mia moglie e mia figlia che dormono, con scritto: "Siamo con te, goditi il terzo posto"».
Se dovesse descrivere la sua Germani?
«Un soldato in cima alla collina, in attesa della prossima battaglia». La più grande fortuna? «L’aver ricevuto da Mauro Ferrari una possibilità che raramente si riceve. Non già quella di allenare una squadra, ma quella di costruire un nuovo progetto. La chiave, anche nei momenti difficili, è stata la fiducia. Del club verso lo staff, dello staff verso i giocatori». A proposito di giocatori: tra quelli che ha avuto nella prima parte di carriera a Brescia, quale le piacerebbe avere in squadra, oggi? «Landry fu un fattore fondamentale. Col suo talento e la sua personalità ci fece vincere moltissime partite. Il giocatore che mi piacerebbe allenare di nuovo? Abass».
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