Shalom, tutti assolti: «Gianmarco Buonanno non è credibile»

Per i giudici della Corte d'Appello che hanno assolto gli unici due condannati in primo grado il loro accusatore non era attendibile
SHALOM, LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
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«Gianmarco Buonanno non è da ritenere credibile». Lo scrivono i giudici della Corte d'Appello di Brescia nelle motivazioni della sentenza di assoluzione di due ex ospiti della comunità di recupero Shalom di Palazzolo, che erano stati accusati di maltrattamenti e sequestro di persona da Gianmarco Buonanno, figlio dell'ex procuratore capo Tommaso.

In primo grado i due ex ospiti, Luca Fucci e Marco Belotti, erano stati gli unici condannati, sui 42 imputati nel processo. Buonanno raccontò di essere stato costretto ad entrare in comunità e obbligato a rimanere. «Le dichiarazioni di Gianmarco Buonanno - scrive la Corte - sono frutto di una errata lettura della realtà comunitaria di Shalom, indotta da una condizione psichiatrica compromessa e da una totale inconsapevolezza della propria grave tossicodipendenza che molto probabilmente gli ha fatto percepire come segregazione una sinergica opera di convincimento operata nei suoi confronti».

Nell'ambito dell'inchiesta anche il padre di Gianmarco Buonanno, il magistrato Tommaso, allora procuratore capo a Lecco prima di arrivare a dirigere gli uffici bresciani, venne indagato per sequestro di persona nei confronti del figlio in merito all'ingresso in comunità e poi la sua posizione venne archiviata. «I genitori - scrive oggi la Corte d'Appello di Brescia - erano esasperati ed erano convinti della necessità di tentare un'azione contenitiva in apposita struttura, per persuadere il figlio a risolversi ad un percorso ormai non più procrastinabile rispetto al quale egli non aveva maturato la decisa volontà a sottoporsi».

Gianmarco Buonanno sta oggi scontando la condanna a tre anni e otto mesi per una rapina a mano armata compiuta un anno fa in un supermercato nella Bergamasca. La Procura di Brescia ha inoltre trasmesso ai colleghi di Bergamo gli atti relativi all'indagine - aperta quando il padre era ancora a capo della Procura di Brescia - che vede coinvolto il figlio del magistrato con l'accusa di aver fornito le armi per due rapine avvenute nel Bresciano.

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