Comfort food, perché mangiamo quando siamo stressati?

È normale, e capita davvero a tutti: dopo una giornata difficile, tornare a casa può voler dire anche aprire il frigo e ritrovarsi con un pezzetto di formaggio, due fette di salumi o del cioccolato in mano. E non riuscire a fermarsi. In questo caso non stiamo parlando di un momento di «vizio», perché solitamente questa ricerca non è associata ad un momento piacevole, anzi.
Quando avvertiamo la necessità di mangiare per un motivo diverso dalla fame, spesso il cibo che cerchiamo ha un valore consolatorio. Questa risposta è assolutamente umana, e avviene di conseguenza allo stress. Capire perché accade aiuta a gestirlo.
La causa è lo stress
Quando siamo particolarmente stressati, il nostro corpo produce il cortisolo, «l’ormone dello stress». Questo ormone può causare un aumento dell’appetito ed in particolare della voglia di cibi grassi oppure zuccherini. Quando poi mangiamo un alimento tra questi, in grado di stimolare la produzione di dopamina e serotonina, due neurotrasmettitori legati al benessere, ci rendiamo subito conto che questi alimenti ci provocano una sensazione di piacere e di calma, che però è purtroppo temporanea e che svanisce quasi subito.

Ma la risposta del nostro appetito (e del nostro cervello) ai momenti di stress è un meccanismo che deriva da una risposta evolutiva davvero interessante, chiamata «attacca o fuggi». Il nostro corpo vive uno stato di allerta e si prepara ad affrontare un’emergenza (livelli troppo elevati di stress non sono assolutamente normali). Come? Cerca energia ad alta densità calorica, per poter reagire, scappare, correre ed affrontare il pericolo. E ci porta a mangiare junk food, più concentrati di energia. Perché proprio lo zucchero – il glucosio in particolare – è la benzina preferita del nostro cervello.
Il cibo come coccola
Non sempre al concetto di comfort food vanno associati solo cibi «spazzatura». Alcune volte i cibi che per noi sono una coccola sono quelli legati ad emozioni, ricordi e senso di sicurezza, perché sono associati a memorie affettive. Possono essere piatti dell’infanzia, momenti familiari o conviviali. E ciascuno di noi ha il proprio cibo coccola: la cotoletta della nonna, il manzo all’olio, la pasta e fagioli. O ancora un particolare piatto di pasta, dei casoncelli, la polenta con i funghi. Questi alimenti a cui siamo legati hanno una valenza emotiva, che ci porta a sentirci protetti, al caldo e stabili.

Non è solo la fame fisiologica che ci porta a cercare questi cibi confortevoli: è spesso una risposta per colmare un vuoto o nutrire un’emozione. Come capire se è una fame vera o necessità di coccole? È fame emotiva se arriva all’improvviso, ci fa pensare ad un cibo specifico, non passa dopo aver mangiato, non ha orari e spesso si associa facilmente ad un’emozione (rabbia, ansia, nervosismo…).
Come gestire la fame emotiva
In primis, bisogna pensare che consolarsi con il cibo non è sbagliato a priori, anzi. Come sempre quando si parla di alimentazione, il problema sono sempre gli eccessi. E nel caso della fame emotiva la ricerca di cibo diventa un problema solo quando è l’unico modo che conosciamo per gestire lo stress. Siamo arrabbiati? Mangiamo. Abbiamo troppo lavoro? Sgranocchiamo. Possiamo però imparare a mangiare i nostri comfort food con consapevolezza, pensando ad esserci in quel momento e non come automatismo, togliendo il pilota automatico.
Possiamo provare anche delle alternative: popcorn fatti in casa, yogurt con frutta, e soprattutto cambiare strategia. Siamo arrabbiati? Chissà che emozione ci suscita una passeggiata all’aria aperta. Abbiamo troppo lavoro? Magari ascoltare la nostra canzone preferita ci aiuterà a sciogliere della tensione. E poi, dobbiamo imparare ad allenare la nostra consapevolezza alimentare: mangiare lentamente, assaporare il boccone, notarne gusto, consistenza, e ritrovare il senso di sazietà.

Il comfort food, o la ricerca di cibi «diversi» non va demonizzato: è un modo che il corpo e la mente usano per cercare equilibrio, in momenti in cui magari è precario o alterato. La chiave è ascoltarsi e non punirsi, perché il cibo è e deve essere un alleato, non un nemico.
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