«Cari genitori», se la realtà supera la fiction: cosa ci dice «Adolescence»
Ogni mercoledì la rubrica «Cari genitori», curata dallo psicologo analista Giuseppe Pino Maiolo, propone pillole di riflessione educativa, che potranno partire da una notizia di attualità.
Cari genitori, la riflessione di oggi parte da Adolescence la miniserie Tv che qualche mese fa ha riscosso un notevole successo di pubblico e di critica al punto tale che il Premier britannico pensava di proporla in visione alle scuole.
Il muro di parole non dette
Una fiction che narra di Jamie, un ragazzino di 13 anni che ha ucciso una sua compagna. Una narrazione serrata per la ricostruzione per la ricerca di senso a quello che è successo, peraltro un femminicidio precocissimo. Mostra in particolare che tra adolescenti e adulti c’è un muro di parole non dette, di silenzio e di distanza affettiva che fa chiedere agli adulti di riferimento «Cosa abbiamo sbagliato?» e di seguito «Non avrei mai detto».
È un riflettore acceso sul mondo degli adulti di riferimento e mette in evidenza che molti genitori di adolescenti conoscono assai poco i loro figli. Alcuni per nulla. Quando questi entrano sempre prima nell’adolescenza, non sanno più chi sono e non li riconoscono.
C’è che questa fase della vita oggi è una traversata oceanica, infinita, rapida e convulsa che vede navigare ragazzi e adulti nella stessa stanza ma in mondi paralleli che non comunicano, distantifra di loro.
In passato l’adolescenza era il tempo dell’attesa, dei sogni, dei desideri e della voglia di crescere, oggi non è più così. Prevale il terrore per il futuro, domina la solitudine, la mancanza di prospettive e l’assenza di progetti.
A educarli non c’è unicamente la famiglia e la scuola, ma i social e le community online che dispensano like ma non danno sostegno, tantomeno conforto.
Il dolore che diventa violenza
I nuovi adolescenti sembrano supereroi invincibili capaci di fare tutto e permettersi tutto. Al contrario ti accorgi che in un nano-secondo diventano fragili e vulnerabili, non sanno ciò che provano e men che meno sanno gestire un sentire turbinante interno, schiavizzati dai virtuali compensi che i social hanno inventato.
Tristi e apatici, spesso li vedi in fuga, alla ricerca di un ritiro salvifico, protettivo. Alcuni delusi, si assentano dalla vita oppure salpano per altre acque non senza aver lanciato segnali che gli adulti non colgono perché distanti o distratti.
Altri si fanno guerrieri e si arruolano nella violenza delle parole che abbondano online o nella violenza delle «gang» per le strade, le piazze e le scuole.
La chiami rabbia ma è dolore che non sanno capire e che nessuno accoglie e contiene. Ci sono sconosciuti e ci paiono alieni che vengono da un altro mondo. È nostro compito invece e urgente imparare a osservarli, ascoltarli e dare loro attenzione che richiedono. Perché dobbiamo sapere chi sono.
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