«Cari genitori», guerra e bambini: le ferite che non si vedono
Ǫuello che sta accadendo a Gaza, il genocidio a cui stiamo assistendo in diretta ogni giorno ci impone di affrontare il problema delle vittime più esposte in questa tragedia umana: i bambini.
Non si tratta di parlare dei bambini morti e avvolti nei piccoli sudari che abbiamo visto in questi anni che è un numero impressionante pari a circa 20.000, ma di tutti i bambini che non muoiono e vedono quotidianamente la morte.
Ferite invisibili
La guerra con la morte in diretta, le esplosioni, i bombardamenti, i corpi dilaniati, le case sbriciolate sono una delle esperienze più devastanti per tutti e in particolare per i piccoli. Per quelli che sopravvivono la vita non sarà più la stessa.
Potrà sembrare che alcuni dopo un po’ si adattino alla realtà. Altri li vediamo riprendere a giocare, molti tornano a scuola magari tra le macerie e potremmo anche pensare che tutto ritorni come prima, ma non è così. Questo perché non è facile leggere nella psiche profonda e perché le vittime non hanno parole per dirci cosa provano.
Lo dicono piuttosto con il comportamento. Mostrano irrequietezza motoria, aggressività, rabbia, magari non riescono a dormire, alcuni hanno incubi e vivono terrorizzati una perenne sensazione di precarietà.
Anche quando potranno tornare a una vita «normale», la guerra apparentemente dimenticata impedirà loro di elaborare il lutto per la perdita dei loro cari, per la distruzione della casa, per il vuoto di relazioni.
Rischi futuri
Molti bambini, non sapendo trovare spiegazioni all’accaduto, si sentiranno colpevoli di qualcosa che non hanno fatto, altri rimuoveranno forzatamente ciò che è avvenuto, ma resteranno in uno stato di sofferenza. In termini clinici questo si chiama disturbo postraumatico da stress che incatena le vittime degli eventi anche per tutta la vita.
Per risolvere il trauma ci vorrebbe un intervento di aiuto precoce, immediato, che non c’è stato. Più il tempo passa senza che venga elaborato il trauma e più nella psiche e nella mente rimane la sofferenza e il dolore acuto insieme a una serie stabile di emozioni negative.
Non ci dovrebbe meravigliare allora che una psiche bloccata in un territorio interiore devastato, rischi di essere governata da sentimenti di violenza e attraversata costantemente dall’odio. Questo è il pericolo che si corre anche quando la guerra sarà finita.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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