Stati Uniti e Europa: domande e risposte su dazi e antitrust

Il tema dei dazi tiene banco in questi giorni ed intrigante è stato lo spunto dato dall’ex ministro, nonché attuale presidente della Commissione Affari Esteri della Camera, Giulio Tremonti, durante un recente incontro a Brescia. Con aria sorniona, quasi sottovoce, Tremonti di fronte a seicento persone ha affermato che ai dazi sui prodotti evocati e minacciati da Trump, l’Europa potrebbe rispondere a dei dazi sui servizi, considerato che gli Stati Uniti proprio sui servizi basano gran parte della loro economia.
Partendo da questo spunto abbiamo chiesto a Carlo Scarpa, docente universitario e nostro editorialista, di aiutarci a comprendere meglio.

Professor Scarpa, cosa ne pensa? Quella di mettere dei dazi sui servizi potrebbe essere una opzione?
Partiamo dai dati. Nel 2023, l'UE ha registrato un surplus commerciale di beni, mentre gli USA hanno ottenuto un surplus nei servizi. Il dato netto è un surplus complessivo di 48 miliardi di euro per l'UE su un commercio totale di beni e servizi di circa 1,6 trilioni di euro. Si tratta quindi di un sbilancio minimo, pari a circa il 3% del totale del commercio bilaterale.
Quali sono le controindicazioni?
Dare attuazione a un eventuale protezionismo nei servizi non è facile, proprio per la immaterialità di queste poste (prodotti bancari e assicurativi in primis).
Ammesso e non concesso che si proceda in questo senso, l’Europa avrebbe solo vantaggi?
Se è vero che gli Stati Uniti esportano servizi verso la UE più di quanto la UE faccia rispetto a loro, comunque gli USA sono un importante mercato di sbocco per i nostri servizi. Anche qui, una guerra commerciale farebbe male a entrambi. Ma rispondere con un dazio sui beni non sarebbe neutrale neanche quello.
Per quanto riguarda i benefici invece, chi ne godrebbe?
C’è verosimilmente una differenza nella distribuzione dei benefici. Mentre i beni importati finiscono più o meno sulla tavola o negli armadi di tutti, e quindi un aumento nel loro prezzo toccherebbe tutte le famiglie, l’impatto di un dazio sui servizi sule famiglie sarebbe quanto meno indiretto. I primi soggetti a farsene carico sarebbero le imprese.
Però le imprese potrebbero ribaltare questo extra costo sui consumatori.
Sì, certamente, ma questo resta da vedere. E comunque sarebbe verosimilmente un effetto parziale oltre che ritardato.
C’è chi propone di contrastare la minaccia dei dazi potenziando il sistema europeo di antitrust.
Questo è un tema caldissimo. Da tempo la commissione ha messo nel mirino alcune big tech che abusano del loro potere dominante nel web come «gate-keeper» (letteralmente «custode del cancello», in termini negativi una sorta di passaggio obbligato, di selezione preventiva, ndr), ad esempio Google e Amazon.
Quali passi può compiere la Commissione?
La Commissione ora deve dare attuazione, tra gli altri, al Digital market act e al Digital services act, provvedimenti volti a proteggere le imprese dallo strapotere di chi ha in mano il web.
Possibili controreazioni?
Le big tech americane, per sollevare un caso politico, tendono a equiparare gli interventi antitrust a quelli protezionistici «anti americani» (come già ha fatto lo stesso Trump con l’Iva – figuriamoci…).
Gli interventi della Commissione in ambito antitrust si possono dire protezionistici?
No, sono tutto tranne che protezionistici, almeno per ora. Ma sicuramente questo sarà un terreno di scontro pesante. Questo è ancor più probabile pensando alla nuova nomina del vertice dell’autorità antitrust americana, Ferguson, la cui prima preoccupazione pare essere la fine della guerra alle false informazioni nei social media (quindi, la protezione di X, già noto come twitter, che è di Elon Musk) e non certo la protezione dei consumatori.
Se i mercati digitali saranno il vero terreno di scontro, esiste uno sbilanciamento minimo tra Europa e Stati Uniti, come tra beni e servizi, oppure la forbice è più ampia a favore di uno o dell’altro?
Trovare numeri chiari sul mondo digitale (e soprattutto definire la provenienza geografica di questi valori) è molto difficile, ma è evidente che il principale soggetto del mercato delle vendite online nel mondo occidentale si chiama Amazon e che il principale motore di ricerca (e quindi generatore di contatti, pubblicità, etc.) è Google. Entrambe imprese americane. L’Europa non ha nulla di vagamente comparabile. Ma francamente credo che il punto sia un altro. Anzi due.
Quale il primo punto?
Il tema fiscale. La Commissione ha di recente vinto un’importante causa contro Google costringendola a pagare imposte in Europa per un ammontare più ragionevole. Un’impresa non può operare in Europa senza pagare imposte. Certo, chi opera nel web non ha una posizione geografica facilmente identificabile,
E il secondo?
Il potere di mercato che Amazon o Google possono vantare rispetto a venditori/fornitori non può essere lasciato senza un controllo che il mercato non può fornire. È un mercato dove il vincitore prende tutto. E i vincitori oggi sono loro. Onore al merito, per carità, e nessuna persecuzione. Ma senza controlli e protezioni si rischia di consentire loro di chiudere qualunque spazio agli altri, il che non può essere consentito.
Siamo alla vigilia o già nel mezzo di una guerra commerciale allora.
No, non è una guerra commerciale, è solo un modo di mantenere un minimo di equilibrio nel sistema economico. Un equilibrio che oltre oceano sembrano avere completamente smarrito.
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