Padre Albanese: «Le Afriche chiedono giustizia e non carità»

«L’Africa non esiste, esistono gli africani, un miliardo e mezzo per circa 2.000 etnie, che parlano 1.251 lingue diverse e vivono in 54 Paesi molto diversi – ecco perché si deve parlare di Afriche – ma che, dal punto di vista territoriale, sono nel perimetro del continente». Il comboniano padre Giulio Albanese, già fondatore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, e oggi direttore dell’ufficio per le comunicazioni sociali e per la cooperazione missionaria del Vicariato di Roma, ha invitato a cambiare l’ottica con la quale guardare al continente africano.
Invitato giovedì 18 dicembre nella sala del Camino di Brescia per presentare il suo ultimo libro «Afriche, inferno e paradiso - Viaggio in un continente dai mille contrasti» (Libreria Editrice Vaticana), ha dialogato con Nunzia Vallini, direttrice del nostro giornale.
Padre Giulio, perché dobbiamo cambiare il nostro punto di vista?
Perché abbiamo sempre guardato al continente africano dall’alto in basso. Le Afriche non sanno che farsene della nostra beneficenza stucchevole, le Afriche chiedono giustizia, perché non sono povere, sono impoverite. Nel 2050 l’Africa avrà due miliardi e mezzo di abitanti, mentre l’Europa subirà un calo a causa della bassa natalità, quindi avrà bisogno di forza lavoro se vorrà continuare a essere competitiva. Noi abbiamo bisogno delle Afriche e le Afriche hanno bisogno di noi.
C’è anche una responsabilità dei leader africani nel depauperamento del continente?
L’aspetto della formazione delle leadership africane rappresenta davvero una priorità perché chi oggi è nelle stanze dei bottoni lascia molto a desiderare, anche da un punto di vista etico. Però non bisogna generalizzare, perché ci sono Paesi dove il fenomeno è più radicato, ce ne sono altri dove c’è stata una crescita. Le statistiche ufficiali ci dicono che i Paesi africani sono i più corrotti al mondo. Ma questo non è vero se consideriamo la corruzione un’operazione di business, da una parte la domanda e, dall’altra, l’offerta, da una parte il corrotto – capi di Stato, presidenti padroni, governi – e dall’altra il corruttore – le multinazionali straniere, i player internazionali –. Dal 2000 a oggi l’Africa ha perso una media di 90 miliardi di dollari l’anno in flussi finanziari illeciti, finiti nelle tasche dei potentati stranieri. Significa che le bustarelle che ricevono i governi africani corrotti sono una minima parte del denaro che viene trafugato.
Piano Mattei: che cosa l’Italia non ha capito dell’Africa?
Non aiuteremo l’Africa solo consentendo alle imprese italiane di andare lì a fare business. L’Italia dovrebbe giocare un ruolo strategico, per esempio portando avanti campagne per affrontare la questione del debito in modo sistemico. Perché non si tratta solo di ridurlo, ma di trovare la maniera per evitare che questo sistema vessatorio, che è quello della finanziarizzazione del debito, si procrastini nel tempo.
Perché in Italia l’informazione sull’Africa è carente?
Innanzitutto, perché in questo Paese c’è un provincialismo endemico nel modo di fare giornalismo. Ma viviamo in un mondo che è villaggio globale. Come si fa a spiegare la questione migratoria senza spiegare quello che succede, in termini di ingiustizie e sopraffazioni, nei Paesi di origine di chi migra? E molto spesso ci sono interessi occulti. Meglio non parlare delle Afriche perché se cominciassimo a spiegare in che cosa consiste lo sfruttamento delle commodity nel continente, certamente la gente avrebbe un atteggiamento diverso nei confronti di tanta umanità dolente».
Come opera la Chiesa nelle Afriche?
Ci sono tante Chiese, tra cui anche quella cattolica, con i missionari che sono il valore aggiunto della società civile italiana. Le Chiese sono impegnate nella promozione umana, ma anche nel dialogo ecumenico e inter-religioso. In Nigeria c’è il tema dei sequestri che in Italia è stato strumentalizzato da certa stampa ideologica. I sequestri – che sono frequentissimi in tutto il Paese - avvengono prevalentemente a scopo di estorsione, il che è sintomatico del malessere e delle disuguaglianze sociali che ci sono. I jihadisti rapiscono i cristiani, ma anche i musulmani, solo che se colpiscono un target cristiano hanno maggiore visibilità.
Il futuro del continente?
Non pensiamo a cambiamenti in tempi brevi. Dobbiamo investire sulla società civile africana affinché riesca a esprimere le proprie potenzialità. I giovani – molti dei quali oggi sono militanti in un modo o nell’altro – devono diventare soggetti attivi, non solo affermando il diritto di cittadinanza, ma in quanto membri delle future classi dirigenti.
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