Un Governo stabile verso il 2027 mentre le opposizioni sono in affanno

Con l’approvazione definitiva della manovra di Bilancio e del decreto per gli aiuti all’Ucraina si chiude l’anno politico 2025 e si apre quello – elettorale – che porterà questo Governo e queste opposizioni alle «politiche» del 2027.
Già fare questa affermazione è un modo per tirare un bilancio: la stabilità politica costituita dal governo di centrodestra in sella senza veri scossoni dall’inizio della corrente legislatura, è un elemento che costituisce l’asse portante di qualunque analisi. Il consenso per il centrodestra, per la sua leader, per il partito di maggioranza relativa e per i suoi alleati è intatto nonostante che il suo assetto di potere duri dal 2022 e che, di prassi, ogni governo perda – dopo il periodo della luna di miele – almeno una parte dei suoi consensi.

Giorgia Meloni nella notte di fine anno che ci apprestiamo a trascorrere potrà così serenamente stappare la sua bottiglia di spumante. E in qualche modo potranno ugualmente farlo i suoi inquieti alleati, sempre alla ricerca di un miglior posizionamento: nessuno insidia il loro potere. Tanto più questa stabilità è apprezzata in quanto si situa in una stagione di straordinaria tensione internazionale, economica, energetica, ecc. in cui capitombolano equilibri pluridecennali e si avvertono da vicino pericoli seri e inquietanti.
Tutto sommato noi a questo mondo in subbuglio, a questa Europa così disorientata, mandiamo segnali di stabilità politica e finanziaria, e riusciamo anche a mantenere la stessa posizione sull’Ucraina che Giorgia Meloni ha scelto sin dall’inizio nonostante le tensioni filo-russe interne alla maggioranza.
I meno generosi potrebbero dire che si può essere stabili anche perché si è immobili, e porterebbe a testimonianza la manovra economica testé varata. Altri invece, più maliziosi, potrebbero dire che la tenuta del centrodestra è dovuta ad una formidabile assicurazione sulla vita garantita da opposizioni divise e in costante gara polemica tra loro, che non solo sono lontanissimi dal «poter decidere di decidere» chi sarà il candidato premier alternativo a Giorgia Meloni, ma nemmeno hanno un programma credibile di alternativa di governo: basti pensare alla politica estera, a quello che pensa Conte sulla Russia, sull’Ucraina e sul riarmo europeo, e a quanto questi temi, compreso quello palestinese, agitano il partito democratico, la sua segreteria e le sue minoranze.
Basti ricordare che sulle questioni più importanti le opposizioni si presentano in Parlamento sempre ciascuno con un proprio documento – sei nell’ultima occasione.

In ogni caso, a fine marzo o ai primi di aprile (più in là di quanto volesse Palazzo Chigi) ci sarà il referendum sulla giustizia: sarà una prova importante, benché Meloni – traendo lezione dal fatale errore di Renzi del 2016 – abbia già tirato fuori il governo dal suo esito, qualunque sia. Però almeno sulla riforma Nordio le sinistre sono unite e fanno blocco con le Procure e l’Associazione Magistrati, con ambienti intellettuali e mediatici importanti. Per loro potrebbe essere una occasione da cogliere per rialzare la testa.
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