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Bontempi: «L’Alta Via dell’Adamello, storia della montagna bresciana»

L’autore presenta il suo nuovo libro, che concentra l’attenzione sul «numero Uno» dei sentieri
Un tratto del sentiero «numero Uno» Alta Via dell'Adamello - © www.giornaledibrescia.it
Un tratto del sentiero «numero Uno» Alta Via dell'Adamello - © www.giornaledibrescia.it
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Uno storico itinerario escursionistico bresciano, impegnativo ma destinato a dare grandi soddisfazioni a chi dispone di preparazione e attrezzatura adeguate, è ora raccontato in una guida. Il libro «Alta Via dell’Adamello. Natura e storia sul Sentiero 601» (Grafo, 64 pp., 15 euro) è un’iniziativa editoriale di Comunità Montana di Valle Camonica e Parco dell’Adamello.

Concentra l’attenzione su un trekking unico, percorribile in dieci tappe che permettono – come osserva Guido Calvi, responsabile del Servizio Parco – «di entrare nel vivo di ciò che rende l’Adamello un ambiente e una montagna straordinaria». L’autore è Ruggero Bontempi, collaboratore del nostro giornale per il quale ha pubblicato molti volumi di itinerari di montagna. Con lui abbiamo parlato del nuovo libro.

L'autore Ruggero Bontempi - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
L'autore Ruggero Bontempi - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it

Bontempi, perché l’Alta Via è il «numero Uno» dei sentieri?

«Il numero Uno le fu assegnato dalla commissione di associazioni che a Brescia, nel 1969, avviarono la progettazione di un sentiero di collegamento tra i rifugi del gruppo dell’Adamello allora esistenti. A seguito dell’istituzione della Rete escursionistica della Lombardia, anche questo itinerario ha dovuto assumere un numero identificativo a tre cifre, il 601, che oggi compare sulle nuove carte e sulla segnaletica. Rimangono tuttavia immutate le sue caratteristiche, che rendono l’Alta Via dell’Adamello un percorso speciale. Gli escursionisti che continuano affettuosamente a chiamarlo “l’Uno” dimostrano di volere riconoscere proprio la sua unicità».

È un tassello importante nella storia dell’escursionismo bresciano?

«Senza dubbio, a partire dal risvolto operativo dell’amicizia tra due dei principali protagonisti della sua nascita, Renato Floreancigh e Franco Ragni. Esperti camminatori e competenti divulgatori dei sentieri della nostra provincia, ebbero un ruolo fondamentale anche nell’ideazione e nei lavori di tracciatura di questo trekking. La sezione di Brescia del Cai ha dedicato per questo l’Alta Via dell’Adamello a Floreancigh, scomparso nel 1988».

Quali sono i caratteri più rilevanti dei paesaggi che si incontrano lungo il «numero Uno»?

«È un viaggio che si carica di emozioni tappa dopo tappa. Le componenti naturali del paesaggio alpino trovano ampio risalto nelle morfologie riconducibili all’azione del glacialismo (le rocce montonate, i depositi morenici, i circhi glaciali e i caratteristici “costér”), nelle aree di interesse mineralogico, nella possibilità di osservare ungulati come stambecchi e camosci, e tetraonidi come gallo forcello, francolino di monte, pernice bianca. Ancora, di ammirare molte specie floristiche endemiche, laghetti e piccole torbiere. L’itinerario attraversa il grande corpo di rocce magmatiche del batolite dell’Adamello, nel quale affiora diffusamente la tonalite. E proprio le rocce assumono rilievo storico nei resti dei manufatti che risalgono alla Prima guerra mondiale: muretti di protezione, ricoveri e mulattiere dal fondo lastricato».

Quali tratti per lei sono più affascinanti?

«È difficile scegliere: il tratto che collega il Passo Dernal al Passo di Campo, la discesa dal Passo dell’Ignaga, l’attraversamento della Valle Adamè, la vista sulle pareti della Val Salarno, i passi Premassone e Gole Larghe… Oltre a quelle che attraversano contesti propriamente alpini, meritano risalto anche le tappe iniziali e finali, quelle che collegano Breno con Bazena e la conca dell’Aviolo con Edolo, che permettono di partire e di rientrare direttamente dal fondovalle camuno utilizzando i mezzi pubblici. Queste parti del cammino attraversano boschi cedui di latifoglie e boschi di abete rosso e larice, oltre a maggenghi, pascoli e praterie a tratti delimitate da muretti a secco. È la montagna “di mezzo” che si accompagna a quella alpina, un altro regalo di questo percorso».

È anche un viaggio tra molti storici rifugi…

«Storici e anche moderni. Il primo che si incontra è il Tassara, a seguire il Tita Secchi, poi Maria e Franco, Lissone, Baita Adamè, Prudenzini, Gnutti, Baitone, Tonolini, Garibaldi, Malga di Mezzo, Sandro Occhi all’Aviolo e Malga Stain. Sono tutte strutture operative e accoglienti, ideali da frequentare anche in queste settimane».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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