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Bivacchi alpini: cento anni di rifugi sempre aperti sulle vette

Nel 2025 i bivacchi alpini compiono un secolo: nati come ricoveri di emergenza in alta quota, sempre aperti, oggi si evolvono tra tradizione e innovazione. Anche sulle montagne bresciane ne sono stati realizzati diversi, soprattutto in Valcamonica
Il bivacco Pasqualetti, in Val d’Aosta
Il bivacco Pasqualetti, in Val d’Aosta
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Nel corso del 1925 furono posizionati i primi bivacchi sulle Alpi. La storia dei rifugi alpini prese il via attorno alla metà del diciannovesimo secolo, mentre ebbe inizio più tardi la costruzione di piccoli ricoveri sempre aperti, che celebrano quindi un secolo di esistenza durante il corrente anno 2025.

La semibotte prefabbricata

La prima iniziativa fu promossa nel 1923 da alcuni soci del Club Alpino Accademico Italiano. Si realizzò concretamente due anni dopo nel gruppo del Monte Bianco attraverso il posizionamento di una struttura di ricovero minimale prefabbricata, composta da assi di legno e fogli di lamiera di dimensioni standardizzate, che consentivano di disporre di un’ottimizzazione di spazi molto ridotti, all’interno di una semibotte di due metri di larghezza e due di profondità, con un’altezza significativamente inferiore a due metri.

A cavallo della Seconda guerra mondiale la struttura originaria subì un leggero ampliamento e si diffuse nella nuova forma per alcuni decenni in diverse zone delle Alpi e delle Dolomiti.

Funzione e diffusione

I primi bivacchi furono costruiti a supporto di vie alpinistiche impegnative, in zone a ridotta frequentazione, dove la morfologia non permetteva di erigere rifugi veri e propri, mantenendo le caratteristiche di essenzialità che li configuravano semplicemente come punti di appoggio in condizioni di emergenza e di ricovero per la notte, in assenza di gestore e di servizi organizzati, e con apertura continua.

La diffusione di queste strutture ha interessato negli anni anche le montagne della provincia di Brescia sulle quali, con criteri realizzativi diversi, sono oggi presenti soprattutto in Valle Camonica, e in quantità minore in Valle Trompia, in Valle Sabbia e nell’entroterra gardesano.

Verso il futuro

A partire dalla fine degli anni Sessanta, forti innovazioni che perseguono il fine della sostenibilità ambientale e l’integrazione con il paesaggio caratterizzano la progettazione dei nuovi bivacchi e il recupero delle vecchie strutture segnate dal tempo. Si sperimentano moduli componibili trasportati in quota dagli elicotteri, e forme architettoniche avveniristiche si rendono possibili grazie alla disponibilità di materiali che derivano da tecnologie sviluppate in ambito aerospaziale.

Modernità o tradizione? Davanti a disegni futuristici c’è chi storce il naso richiamandosi al passato, e il dibattito è vivace. Il futuro è già qui anche per i bivacchi. Nel presente è opportuno il richiamo al loro utilizzo in caso di emergenza, e al mantenimento dell’ordine e della pulizia in ogni struttura.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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