Con Trump è sempre più a rischio l’alleanza tra Usa ed Europa

La visita americana della premier Meloni ha risollevato la speranza in una prossima composizione dello scontro in atto tra Usa e Ue sul fronte dei dazi. Questo nulla toglie allo scenario intonato al pessimismo apertosi con la presidenza Trump.
Il piglio autoritario, lo stile aggressivo, l’uso spavaldo che il tycoon sta facendo dell’arma dei dazi per piegare agli interessi della sua America il resto del mondo: tutto ciò sta consolidando in Europa la convinzione che l’inquilino della Casa Bianca voglia far cartastraccia della storica alleanza che ha legato le democrazie occidentali in questo secondo dopoguerra.
L’augurio sottaciuto delle cancellerie del Vecchio Continente è che si tratti solo di uno sbandamento della politica americana, destinato in qualche modo a rientrare. La speranza è che sia frutto di un fraintendimento dell’elettorato statunitense. Questo si sta già, non a caso, pentendo della fiducia accordata a Trump. Sono infatti più i guai dei vantaggi che sta ricevendone.
Guai, tanti, il presidente degli Stati Uniti li sta procurando anche a noi europei, a fronte di un solo vantaggio – bisogna riconoscere, però che non è di poco conto – che involontariamente ci ha regalato, incoraggiando un ricompattamento delle sparse membra dell’Ue che lascia ben sperare in un suo prossimo protagonismo politico.
Guai tanti per l’Europa, si diceva, e purtroppo anche un rischio. Ci riferiamo all’illusione che serpeggia nell’opinione pubblica di considerare la deriva protezionista di Trump un fatto occasionale e comunque specifico dell’America.
A confutare questa falsa convinzione ci viene in soccorso la storia. Basta guardare agli ultimi trent’anni e si scopre che è di lunga data la contestazione mossa ad un mondo in cui circolano liberamente uomini e merci. È un sentimento di rigetto che trascende la distinzione destra/sinistra. Trova in entrambi gli schieramenti forze politiche che si ergono a capintesta della lotta lanciata al cosiddetto globalismo.
Già Ronald Reagan, per restare negli Usa, era insorto (siamo negli anni Ottanta) contro i danni che la concorrenza del Giappone stava procurando all’industria automobilistica americana. È fitta la serie di proteste, di manifestazioni, anche di movimenti strutturati, sorti poi per combattere il libero commercio internazionale.
Washington, incontro con la stampa insieme al Presidente degli Stati Uniti d’America Donald J. Trump. @POTUS @realDonaldTrump pic.twitter.com/nDRy7UkI8E
— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) April 17, 2025
Trump ha avuto un precursore: Ross Perrot, anche lui candidatosi nel lontano 1992 alle presidenziali. C’è stato poi, una quindicina di anni dopo, il Tea Party Movement, prima organizzazione di massa che ha iniettato nel Grand Old Party, il partito repubblicano, il virus del populismo anti-establishment.
Passando dalla destra alla sinistra, si nota una stessa montante ribellione verso il nuovo ordine mondiale, sorto dopo la caduta del comunismo: a cominciare dal movimento no-global, la cui espressione più compiuta si è avuta nel 2011 con l’Occupy Wall Street.
Sono cambiati i nomi, sono cambiate le forme organizzative, ma uguale è stata in questi anni la fonte della rabbia che ha animato anche in Europa la lotta contro la globalizzazione.
Cos’altro esprimono le proteste anti-immigrati, gli attacchi lanciati contro l’Ue e la burocrazia di Strasburgo? Sono tutte espressioni della stessa ribellione sorta contro «il tradimento delle élite», contro il loro cosmopolitismo di comodo che nasconde una razzia delle ricchezze di tutto il mondo, contro la finanza internazionale e i grandi monopoli campioni dell’arte predatoria esercitata a danno dei popoli.
Anche al di qua dell’Atlantico, l’antiglobalismo ha la stessa presa, a destra come a sinistra. Non è un caso, per venire a casa nostra, che Conte e Salvini paiano due gemelli che litigano per strapparsi di mano la rappresentanza della stessa porzione di opinione pubblica, contraria a impegni sovranazionali, all’euro, all’Ue, alla difesa europea.
Trump potrà declinare, la protesta antiglobalismo no, o almeno non presto.
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