Il Time, lo spauracchio AI e gli architetti «del profitto»

Per il famoso periodico statunitense la Persona nuova dell’anno è l’intelligenza artificiale
Per Time la persona dell'anno è l'intelligenza artificiale - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Per Time la persona dell'anno è l'intelligenza artificiale - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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C’erano già stati il Pc e «You» (anticipo della disintermediazione). E ora per il famoso periodico Usa Time è la volta di una nuova persona dell’anno high-tech. Anzi, di un gruppo di persone, gli «architetti dell’intelligenza artificiale», ritratti attraverso due copertine: una con le lettere «A» e «I» (le iniziali di Artificial Intelligence) e la seconda con i presidenti o ceo delle principali corporation ingaggiate nella competizione per lanciare sui mercati (il mass-market o quelli dedicati e di nicchia) la più redditizia e «dirompente».

Vengono così ritratti, allineati su un ponteggio e con le gambe penzolanti, come in una delle celebri fotografie novecentesche che hanno documentato l’edificazione dei grattacieli di New York, Elon Musk, Mark Zuckerberg, Lisa Su (ad di Amd, la grande azienda produttrice di chip), Jensen Huang (il fondatore di Nvidia) e Sam Altman, fondatore di OpenAi.

A parte la non così trascurabile dissonanza cognitiva sull’uso del termine «architetti», che si addice maggiormente ai programmatori e a chi scrive il codice rispetto a coloro che sono, invece, i proprietari o i gestori delle corporation, anche questa nomination sottolinea la portata della rivoluzione in corso.

E lo fa con quella formula di impatto globale che è l’individuazione della persona – in questo caso delle persone – dell’anno 2025, che ha la capacità di suscitare una discussione e accendere un riflettore importante, anche se oggi un po’ appannato rispetto a quanto accadeva ancora fino a vent’anni fa.

E, dunque, una duplice copertina per l’ultima versione dei Masters of the universe – anche se non siamo propriamente sicuri che il loro universo ci piaccia – e per la fotografia precisa dell’epoca odierna. Sotto il profilo economico, la rilevanza dell’Ai è the next big thing (come si dice nel gergo anglosassone) che si è fatta realtà, e non certo virtuale.

I principali costruttori (o «architetti», per dirla appunto con il periodico americano) di sistemi di intelligenza artificiale – dai chip di Nvidia ai modelli di linguaggio (Large Language Models, o Llm) di OpenAi, dai colossi del web come Meta alle startup più avanzate – hanno catalizzato trilioni di dollari di investimenti. E hanno riattivato le transazioni sui mercati tecnologici, rilanciando l’ennesima narrativa di un futuro di crescita esponenziale e «sorti magnifiche e progressive».

Alcuni «architetti» di questa trasformazione affermano che l’Ai potrebbe espandere il Pil globale tra i 100 e i 500 trilioni di dollari nei prossimi anni (le stime presentano un range molto ampio), con ambizioni dichiarate di tecnosoluzionismo, dal cambiamento climatico alla salute fino, naturalmente, all’efficientamento produttivo.

I passi da gigante che questa innovazione sta producendo, e la sua velocità di crociera, meritano questo riconoscimento e l’attenzione – e ammirazione – generale. Il che significa, evitando ogni tentazione neoluddista (inutile, oltre che discutibile), guardare giustappunto con la dovuta attenzione alla totalità e complessità degli aspetti correlati a quanto sta avvenendo nell’intelligenza artificiale generativa e nel nuovo capitalismo agentico.

Vari analisti temono che dietro a questi ingentissimi numeri si possano annidare ampie bolle speculative, disuguaglianze crescenti e un’economia del lavoro dove, contrariamente a quanto avvenuto con altre innovazioni di processo nella storia, milioni di posti di lavoro tradizionali vengano semplicemente cancellati, comprimendo ulteriormente i salari in settori già assai fragili.

Oltre al dato di fatto che la corsa agli investimenti in infrastrutture per l’Ai – data center mastodontici e reti di calcolo avanzate – comporta enormi costi energetici destinati a peggiorare la crisi ambientale in corso. Ed è il lato oscuro, ma sempre più plateale, di questa innovazione, derivante proprio dall’inclinazione esclusiva verso il profitto individuale, rigettando di assumersi qualsivoglia responsabilità sociale, degli «architetti» celebrati sul frontespizio di Time.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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