Tata acquisisce Iveco, inizia una nuova era
La strategia di Stellantis nel campo dei veicoli da lavoro sembra segnata: uscire dal settore. Lo hanno fatto con i veicoli speciali (Magirus), la cui produzione è stata ceduta a un fondo industriale «di transizione» che sta puntando alla valorizzazione di queste produzioni. Lo stanno facendo con i blindati, destinati a Leonardo. E ora lo hanno messo nero su bianco con gli autocarri «normali» quali quelli oggi prodotti anche a Brescia.
Una divisione che, dopo l’offerta pubblica per 3,8 miliardi di euro lanciata ieri, finirà sotto il controllo dell’azienda indiana Tata. Nel nostro immaginario, l’India non è nota come un protagonista del settore automotive, ma la realtà è diversa. I maggiori Paesi produttori di auto nel mondo sono la Cina, il Giappone e l’India.
Anche se in Italia gli indiani esportano poco se non componenti, Tata è partner tradizionale di Fiat, con la quale ha da molti anni un accordo di condivisione di tecnologie e impianti per servire il mercato asiatico. Ma Tata ha ambizioni superiori, che si sono concretizzate in alcune acquisizioni importanti. Alla Tata appartiene la Jaguar, per dirne una, e da tempo la stessa Tata ha acquisito la linea dei veicoli commerciali della coreana Daewoo. Cercano opportunità, e uno dei maggiori produttori europei quali Iveco rappresenta una chance importante per chi voglia affacciarsi sul mercato europeo.
Anni fa, il fallimento dell’offerta di un acquirente cinese per Iveco fu salutato con piacere da Paesi diversi dal nostro, che temevano l’ingresso di un nuovo player che avrebbe potuto usare Iveco come trampolino per lanciarsi in Europa. E che saranno stati contenti di assistere al dimagrimento progressivo di Iveco in questi anni.
Oggi la situazione appare simile. Non appare credibile che Tata abbia acquisito Iveco per ridimensionarla; immagino la sua strategia sia l’esatto opposto. L’unico timore è che nel mercato europeo scopra che l’Italia non è il posto migliore per produrre autocarri: bisognerà dimostrare loro che non è così, che la cultura industriale profonda e diffusa che abbiamo è più che sufficiente a compensare carenze che possono essere nel prezzo dell’energia o in una logistica che ancora a volte zoppica. E dimostrare che i problemi di sistema si possono risolvere.
L’unico ostacolo che potrebbe frapporsi è che il governo (come già nel 2021) si metta di traverso inventando una fantomatica tutela dell’interesse nazionale. Gli investimenti degli azionisti italiani si erano fermati per oltre un decennio. Gli azionisti italiani si sono poi diluiti in Stellantis, ove comandano i francesi, che hanno confermato la linea di Exor di defilarsi dal mercato degli autocarri.

Sul fatto che il futuro dell’azienda adesso parli indiano non dobbiamo avere pregiudizi. È un investitore serio, industriale, con prospettive di sviluppo. Non possiamo che creare le condizioni perché questo sviluppo continui e si consolidi proprio in Italia e a Brescia. Una sfida per il governo e per il territorio, ove la soluzione non è imporre condizioni che facciano scappare gli acquirenti, ma creare le condizioni perché Brescia resti una delle capitali dell’industria europea.
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