Sovranismi, Europa e Trump: il caso (limite) della Polonia

Una coabitazione difficile, potenzialmente dirompente. Durerà, inasprendosi, almeno due anni, fino alle prossime politiche. Allora potrebbe farsi ancor più incandescente, pure se la coalizione di governo ne uscisse vincente, salvo un successo straripante da maggioranza dei due terzi, per superare veti presidenziali.
Ci riferiamo alla Polonia, governata dal liberale Donald Tusk, ma presieduta dal nazionalista (trumpiano doc) Karol Nawrocki. Questi sta infatti usando a più non posso quel diritto di veto, previsto dalla Costituzione come potere da esercitarsi in casi eccezionali, per mettere il governo nella quasi impossibilità di agire. Da quando ha assunto i poteri (3 agosto) lo ha usato ben sette volte. Il più a gamba tesa riguarda la proposta di bilancio, con il veto alla proroga dei sussidi per i rifugiati ucraini. Non contento, ha congelato i finanziamenti per il sistema Starlink, la Polonia ne è il maggior fornitore all’Ucraina. Questo sul fronte interno.

La politica estera
In politica estera le cose non vanno meglio. Il 3 settembre Nawrocki è stato ricevuto, per la seconda volta, alla Casa Bianca. Un’accoglienza piuttosto calorosa. Come è stile di Trump, quando si mette d’impegno. Anzi l’impegno era già cominciato a maggio, quando l’aveva ricevuto, fu questa la prima volta, nella sua qualità di candidato alla presidenza polacca, esprimendogli tutto il suo sostegno. Forse, proprio lì Nawrocki si è aggiudicato il margine vittorioso.
A essere rilevanti non sono tanto i risultati dell’incontro, dal quale è comunque uscito confermato il continuare, se non addirittura l’incrementarsi (parole di presidente Usa) del sostegno militare alla Polonia. Rilevanti sono le modalità organizzative di quella missione. Karol è andato solo, ossia non ha incluso nella delegazione alcun membro del governo. Un fatto grave, perché a norma della Costituzione, la politica estera spetta al governo. Il presidente rappresenta sì il Paese fuori dai suoi confini, ma in quanto ne segue le linee di politica estera. Non può averne una sua.
Nei giorni precedenti la visita a Washington, si era manifestato un duro scontro della presidenza con il Ministero degli Esteri. Il suo titolare, Radoslaw Sikorski, aveva inviato a Nawrocki un documento sui punti salienti della politica estera, a mo’ di raccomandazione da seguire. Apriti cielo. La furiosa reazione della presidenza era giunta a definire quel documento una barzelletta. Una sorta di laesa maiestas.
Il fronte ucraino
La profondità del conflitto tra Tusk e Nawrocki si era già manifestata in occasione della visita dei leader europei a Trump, dopo l’incontro con Putin. La Polonia non era presente. Un’assenza clamorosa, in quanto Paese europeo più esposto nel conflitto russo-ucraino. Regia del Donald americano. L’invito l’aveva esteso all’amico Karol, il quale, probabilmente per non ritrovarsi tra leader dai quali dissente, soprattutto in merito alla politica della difesa comune, aveva preferito non partecipare.
Tusk, tuttavia, non demorde. Era all’Eliseo, il giorno dopo la visita di Nawrocki a Trump, alla riunione della coalizione dei volonterosi. Ha riferito della determinazione dei partecipanti a mostrare agli americani quanto siano decisi a mantenere gli impegni assunti. Un implicito richiamo a Trump. Tusk ha voluto ribadire con chi sta.
Le insidie per Tusk sono molte. Perché si confronta con un presidente per nulla rispettoso delle regole costituzionali. Pare persino intenzionato a sostituirlo nel Consiglio europeo. Si ricostituirebbe così l’asse ungaro-polacco degli scorsi anni.
Ancora una volta il nazional-sovranismo stravolge le regole della democrazia liberale. Succede nel cuore dell’Europa, malauguratamente con il beneplacito di Trump, esempio negativo di rispetto delle regole. Nel saggio la Democrazia Americana, Alexis de Tocqueville scriveva: «Quanto è veramente ammirevole in America è il sincero rispetto delle regole». Tempi perduti.
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