Perché un tetto al 5xmille?

Ora che si avvia la stagione della dichiarazione dei redditi, la campagna pubblicitaria si sta moltiplicando
Una quota di imposta sui redditi -  © www.giornaledibrescia.it
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«Dammi il cinque» dice uno degli slogan coniati per le campagne pubblicitarie del 5xmille che si stanno moltiplicando ora che si avvia la stagione della dichiarazione dei redditi, con la messa a disposizione dei 730 precompilati dall’Agenzia delle Entrate. Sarebbe bello se fosse così, ma in realtà quel cinque, se va bene, è poco più del quattro e mezzo.

C’è infatti un limite oltre il quale non si può andare e l’appello dei destinatari non può aumentare la quantità totale ma soltanto singole porzioni. Se si aggiunge da una parte, si toglie da un’altra. Nessuno lo dice, tutti fanno finta che si sappia, ma alla raccolta del 5xmille lo Stato mette un tetto, indipendentemente dall’adesione dei cittadini.

Oltre l’asticella fissata a 525 milioni di euro non si va. Di quanto si tratta? Nella più recente annata fiscale, quella relativa al 2023, secondo le firme dei contribuenti il 5xmille totalizzava 553 milioni. Ben 28 milioni oltre il tetto, e quelli se li è tenuti lo Stato. C’era già un vincolo – 5 euro ogni mille versati – perché metterne un altro? Questione delicata, fonte di proteste, accantonata per timore che il delicato equilibrio s’infranga.

Introdotto in via sperimentale nel 2006 e reso stabile nel 2015, il 5xmille non è una tassa in più, ma una quota dell’imposta Irpef che ogni contribuente paga annualmente e che lo Stato, su precisa indicazione dei singoli contribuenti, distribuisce a enti senza scopo di lucro, del Terzo settore, del mondo della ricerca e del volontariato, ma anche del tempo libero.

Come sempre accade con il fisco, però, la questione è più articolata e complessa di quel che sembra: se non si firma, la quota resta allo Stato; se si firma ma non si indica il beneficiario, la quota viene ripartita fra gli enti in maniera proporzionata alle scelte di chi ha invece espresso una preferenza precisa. Detta così, sembrerebbe che arrivino ai destinatari più fondi di quanti indicati da chi mette la firma nell’apposito riquadro. Ma così non accade. Negli anni, anche grazie alle campagne pubblicitarie, è cresciuto il numero dei cittadini che firmano e aggiungono il codice fiscale dell’ente prescelto.

All’ultima dichiarazione dei redditi, quella appunto relativa al 2023, su 42 milioni di cittadini che pagano le imposte, 17.249.982 hanno firmato per il 5xmille. Non è ancora la maggioranza, ma sono pur sempre 41 su cento. Ed hanno finanziato le attività di 80.838 fra associazioni ed enti. Dal 2006 ad oggi, si sono raccolti più di 8 miliardi di euro.

Nei giorni scorsi, nell’edizione di domenica 20 aprile, il Giornale di Brescia ha pubblicato una esauriente analisi dei fondi distribuiti nel Bresciano: i contribuenti che hanno firmato sono stati 179.909 e hanno aiutato 1.754 enti destinatari. Un esempio concreto dello spirito di sussidiarietà che l’istituzione del 5xmille voleva promuovere.

Ed eccoci al nodo della questione: perché mettere un tetto? Per mantenere in ordine i conti pubblici: questo l’obiettivo che ha spinto i vari governi a prevedere uno specifico fondo con un limite di spesa. Il problema nasce quando il tetto, che all’origine era in linea con le indicazioni dei contribuenti, viene successivamente aggiustato in modo inadeguato rispetto al trend. Il limite era di 500 milioni per il periodo 2015-’19, di 510 milioni nel 2020, poi di 520 per il 2021 e ora di 525. Così dal 2006 a oggi lo Stato si è tenuto 483 milioni di euro che invece i cittadini avevano destinato a varie e precise attività di interesse sociale.

Di fronte alle rimostranze degli enti interessati, la politica risponde a modo suo: l’opposizione protesta e la maggioranza fa promesse che poi dimentica. FdI, ad esempio, aveva preparato un emendamento alla Finanziaria che alzava il tetto a 575 milioni, poi ritirato; ne ha quindi presentato uno che aggiungeva 10 milioni al limite in vigore, nel Decreto Milleproroghe, per poi lasciarlo cadere. La Lega ha presentato un ordine del giorno che prevede il tetto a 553 milioni, ma per il 2025. Intanto dieci grandi organizzazioni del non profit (ActionAid, Airc, Aism, Emergency, Fai, Lega del Filo d’oro, Medici senza frontiere, Save the children, Telethon e Unicef) chiedono di eliminare totalmente il tetto, come già avviene per l’8xmille, che non ha limiti.

Scelta ragionevole, perché il tetto, oltre a ridurre l’importo delle risorse per enti che ne hanno un pressante bisogno, è uno sfregio al patto di fiducia fra i contribuenti e lo Stato. Un patto, quello fiscale, che già per conto suo traballa da sempre e che invece avrebbe bisogno di consolidarsi, lasciando davvero ai cittadini una scelta, seppur minima, sul come destinare quel che pagano in imposte.

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