Ora il governo di Netanyahu combatte il dissenso interno

Il premier israeliano solo nell’ultima settimana ha attaccato sei Stati, tutti distribuiti nel raggio di oltre 2mila chilometri
Il presidente israeliano Netanyahu alla Knesset - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Il presidente israeliano Netanyahu alla Knesset - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Iran, Gaza, Cisgiordania, Siria, Libano e Yemen: sono sei, e distribuiti nel raggio di oltre duemila chilometri, i fronti su cui solo nell’ultima settimana Israele ha sferrato attacchi. Ce n’è però un settimo, coinvolto da mesi in una guerra più silenziosa e meno violenta, ma ugualmente carica di conseguenze. Il campo di battaglia è interno ai confini dello Stato ebraico, le armi non sono missili ma articoli di legge e il nemico si chiama dissenso. Lo racconta un rapporto dell’Association for civil rights in Israel (Acri), la più importante e antica organizzazione per i diritti umani nel Paese, in un recente rapporto dal titolo allarmante: «Dalla distruzione della democrazia alla costruzione della dittatura».

La tesi: approfittando del fatto che l’attenzione dell’opinione pubblica interna e internazionale sia concentrata su ciò che succede all’esterno dei confini, il governo Netanyahu e la maggioranza che lo sostiene alla Knesset stanno imprimendo in modo permanente una svolta autoritaria al sistema politico, introducendo una serie di norme che puntano a mettere fuori gioco chi contesta l’attuale leadership. Mentre sempre più attivisti contro la guerra e obiettori di coscienza vengono arrestati durante le manifestazioni e detenuti, la Knesset – appena sopravvissuta alla mozione di scioglimento presentata dall’opposizione – si appresta a varare diverse leggi volte estendere il perimetro della criminalizzazione del «sostegno e incitamento al terrorismo», formula impiegata pretestuosamente per colpire chi, come spiega Acri, muove critiche nei confronti dell’offensiva israeliana su Gaza, soprattutto nelle scuole e nelle università.

Nel mirino anche le organizzazioni governative: tra le proposte di legge in discussione al parlamento c’è quella di tassare all’80 per cento le donazioni che le no profit israeliane incassano da enti governativi stranieri e impedire a quelle per le quali questa è la principale fonte di finanziamento di fare appello ai tribunali. Una norma del tutto simile alle «leggi sugli agenti stranieri» approvate in Russia, Georgia e Ungheria con grande sdegno dei leader europei. A farne le spese saranno le organizzazioni più critiche nei confronti della politica bellicista del governo Netanyahu, come Breaking the Silence, nata per riunire ex soldati contrari all’occupazione, che ha dichiarato di rischiare la chiusura se la legge passasse. Altre proposte in discussione alla Knesset puntano a colpire la libertà di stampa, già compromessa con la decisione del governo di bandire Al Jazeera dal Paese e di boicottare e imporre sanzioni nei confronti del quotidiano liberale Haaretz, da sempre critico nei confronti di Netanyahu.

Ora gli occhi sono puntati sulle emittenti pubbliche, delle quali si vuole ridurre l’indipendenza attribuendo all’esecutivo il controllo sulle nomine e sulle finanze. E non vengono risparmiate neanche le elezioni: altre proposte presentate dalla coalizione di destra puntano ad ampliare la possibilità di escludere dalla corsa per la Knesset e i consigli comunali candidati e interi partiti sulla base, ancora una volta, della fumosa accusa di «sostegno al terrorismo» e senza passare da un tribunale. L’obiettivo sarebbe colpire la rappresentanza della popolazione palestinese con cittadinanza araba, già oggetto di provvedimenti simili in passato. Un altro colpo inflitto al – già discusso – titolo di «unica democrazia del Medio Oriente».

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