Onu, 80 anni dopo l’utopia della pace nel mondo

Negli ultimi decenni l’organizzazione intergovernativa sconta una crisi profonda che non le consente di svolgere la missione per la quale è stata costituita
La sede dell'ONU a Genève - © www.giornaledibrescia.it
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L’Onu compie ottant’anni. Quale futuro? Ricorre quest’anno l’ottantesimo anniversario della fondazione dell’Onu: la grande organizzazione intergovernativa istituita dopo il secondo conflitto mondiale in sostituzione della Società delle Nazioni voluta dal presiedente americano Woodrow Wilson che nel 1918 incluse, nei «quattordici punti» per porre fine alla guerra, la proposta di dare vita ad un organismo cui assegnare lo scopo di sostenere il mantenimento della pace.

Una vicenda, che si avvia a partire dal 1920, segnata da ripetuti fallimenti. Un organismo del tutto impotente a fronte dei conflitti che vedono il Giappone invadere nel 1933 la Manciuria, successivamente l’Italia fascista aggredire l’Etiopia, la Germania nazista e l’Unione Sovietica occupare rispettivamente Cecoslovacchia, Polonia e Finlandia.

Alla luce di un bilancio costellato da clamorosi insuccessi, su iniziativa di Stati Uniti, Unione Sovietica, Repubblica di Cina e Regno Unito, si avviano i passi che consentono nell’autunno del 1945 alle Nazioni Unite di entrare in funzione, annoverando 51 membri. Solenne il preambolo dello statuto in cui, tra l’altro si legge: «Salvare le future generazioni dal flagello della guerra; affermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo; creare le condizioni in cui la giustizia e il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altre forme del diritto internazionale possano essere mantenuti; impiegare strumenti atti a promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli».

Non è questa la sede per ripercorrere le tappe che hanno segnato la presenza dell’Onu nella vicenda internazionale, dalla Guerra fredda ai processi di decolonizzazione al crollo del sistema sovietico e oltre. Certamente passaggi rilevanti sono stati la risoluzione del 1947 concernente la divisione della Palestina e l’approvazione della nascita di Israele, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, l’istituzione della prima forza di pace per porre fine alla crisi di Suez del 1956.

E ancora: l’intervento a Cipro nel 1974, l’ingresso della Cina comunista nel Consiglio di sicurezza, il potenziamento dei finanziamenti per operazioni di peacekeeping – oltre 70 in otto decenni – che, se da un lato depongono per un bilancio positivo, non consentono tuttavia di passare sotto silenzio le vergogne indelebili dei mancati interventi a Srebrenica nel 1995 – il massacro genocidario di 8.000 musulmani bosniaci – e in Ruanda con 800.000 tra Tutsi e Hutu trucidati in pochi mesi.

Quello che va sottolineato è che negli ultimi decenni, paradossalmente dopo la fine della Guerra fredda e del bipolarismo retto sull’equilibrio del terrore, l’Onu sconta una crisi profonda che non le consente di svolgere la missione per la quale è stata costituita. Periodizzante è il 2003 con l’invasione americana dell’Iraq nonostante la contrarietà del Consiglio di sicurezza.

In parallelo all’affermazione dell’unipolarismo statunitense e alla successiva ridefinizione dell’ordine internazionale, che vede l’Onu incapace di assumere iniziative efficaci nel quadro del nuovo sistema multipolare, si assiste ad una progressiva irrilevanza che confina l’organizzazione in un ruolo marginale, ormai non più in grado come è di svolgere una funzione di contenimento dei conflitti e di mediazione conciliativa.

E ciò vale nel caso della Siria del 2011, dello Sri Lanka – nel 2013 una relazione interna parla addirittura di «fallimento sistemico» a proposito della guerra civile esplosa nel Paese – e, per venire ai giorni nostri, dell’aggressione russa all’Ucraina fino al conflitto israelo-palestinese, rispetto al quale, al di là di proclami e denunce, l’Onu appalesa una drammatica impotenza. Ebbene, come da più parti è stato sottolineato, l’Onu deve oggi interrogarsi sulle prospettive prossime o più lontane, sulla governance globale. Un passo significativo è stato compiuto col Patto per il futuro del settembre 2024 in cui campeggiano le parole d’ordine della cooperazione internazionale e del multilateralismo.

Al di là tuttavia degli intenti dichiarati, resta urgente il superamento del paralizzante sistema dei veti. Comunque gli scenari di guerra, di crisi ambientali, di violazioni dei diritti umani, di sovranismi e nazionalismi, le ambizioni imperiali di Putin e l’isolazionismo di Trump, la rincorsa cinese ad una un’egemonia tanto politica che economica, non depongono certamente per un rilancio dell’Onu, della sua autorevolezza. Allo stato attuale purtroppo un’utopia.

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