Musei, corsa ai social che non premia

Meglio un laboratorio didattico che un post, una visita silenziosa che un reel. Un vivace dibattito sta crescendo tra Milano e Londra, ma con interessanti puntate anche a Bergamo e Brescia. Nel mondo dei musei la differenza tra virtuale e reale si fa sentire. Eccome. Tutti i musei del mondo stanno vivendo una fase calante di presenze e visitatori, anche se con qualche rimbalzo in occasione di eventi particolari.
L'emblema di questa tendenza è rappresentato dalla National Gallery di Londra, che negli ultimi quattro anni ha visto calare del 48% la quota dei visitatori. Per dire che anche i grandi piangono. Da anni i musei stanno cercando di invertire la tendenza investendo tempo e denaro per creare contenuti social, con l'obiettivo di attirare pubblico, soprattutto giovane. Ma il gioco sembra non funzionare: se va bene, si è avviata una gara a conquistare likes, più che frequentatori.
Perché? La ragione probabilmente sta nell'essenza stessa dei due mondi: i musei per definizione sono il luogo della collocazione organica e sistematica di opere d'arte, mentre i social e il web sono per loro natura effimeri e volatili, mobili e mutevoli. L'intersezione tra i due universi è materia complessa e delicata, soprattutto se si radicalizzano le posizioni. La National Gallery sta cercando di far fronte al dimezzamento del suo pubblico con una cura da cavallo: ha fatto entrare nelle sue stanze una flottiglia di influencer che si sono messi a fare di tutto davanti alle opere esposte, non solo la presentazione di un lavoro complesso e articolato, magari carico di simboli e di rimandi, in un video da 30 secondi, ma molto di più.
C'è chi si è pitturato la faccia come i girasoli di Van Gogh, chi dai quadri dello stesso artista ha ricavato cupcake, dolci in tazza, e chi si è messo a fare scene comiche. L'operazione ha incuriosito per un po', ma ha poi fatto sorgere dubbi forti anche fra chi non era inizialmente prevenuto. Al punto che con la sua autorevole penna, Kathleen Stock su «The Times» ha scritto che tutto quel chiasso non serve ad avvicinare all'arte, semmai ad allontanarsene sempre di più.
L'idea è condivisa da Martina Bagnoli, direttrice dell'Accademia Carrara di Bergamo, che in uno scritto su "Domani" critica pesantemente la deriva social e mette in guardia dal cadere nella trappola di pensare che rendere tutto più facile, semplice e immediato serva ad attirare visitatori, di credere che «per essere popolari bisogna essere stupidini e superficiali». Forse, sostiene la Bagnoli, torniamo «a capire la differenza tra la cultura e la fuffa», nonostante si viva - lo dice citando il discorso di Barack Obama alla Convention di Chicago - in un contesto che «premia le cose che non durano: i soldi, la fama, lo status, i like...».
Un folto gruppo di artisti britannici ha dato vita ad un manifesto - Art History Now - per rafforzare lo studio della storia dell'arte nelle scuole, ritenendola importante per orientarsi ed «essere liberi di pensare in maniera autonoma». La conoscenza aiuta a decifrare le immagini che dominano il nostro mondo, la nostra vita. Così oggi non è.
Eppure attorno ai musei si sta muovendo un interesse crescente. Tanto che l’Ordine degli architetti bresciani pochi giorni fa ha organizzato un seminario dedicato a come si progetta un museo oggi. Come, perché e per chi. Lo spunto viene dalla tendenza di molte imprese a creare un proprio museo, un po’ come auto-celebrazione e un po’ per promozione. Tuttavia l’orizzonte è più vasto e suggestivo. Un bel dibattito su strutture e allestimenti, interpretazioni e linguaggi. Intanto, agli inizi di settembre, Milano ha dedicato un lungo fine settimana al tema delle strutture culturali: musei, teatri, biblioteche. Il Forum Cultura ha predisposto ben 24 tavoli aperti di dibattito pubblico.
Milano, che per dimensione può permetterselo, ha coniato l’idea di «bellezza di prossimità», strutture a km 0 per favorire partecipazione e inclusività, nella convinzione che arte e cultura possano favorire il benessere personale e la coesione sociale. Idee che sono riecheggiate anche a Brescia per l’inaugurazione del Teatro Borsoni. Iniziative e strutture, luoghi e programmi. Più che le sirene virtuali dei social (utili e necessarie nell'infosfera, ma non sufficienti) a dare vita e senso ai musei servono strumenti di partecipazione concreta. Attività didattiche, laboratori, visite motivate. Magari creare comunità più che inseguire fluide community.
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