La transizione energetica e il pranzo mai gratis

Settembre 1922, stazione ferroviaria di Kehl, Strasburgo. Un uomo elegante, con un basco in testa, due baffi impomatati ed una cravatta a pallini sta cambiando 90 centesimi di dollaro per 670 marchi della Repubblica di Weimar. Hernest Hemingway si incammina, facendo tintinnare le monete nelle tasche. Le suole delle scarpe risuonano sul selciato della strada. La iperinflazione delle Repubblica di Weimar implicò prezzi molto elevati ed un tasso di cambio sfavorevole per i tedeschi ma, nel contempo, estremamente vantaggioso per gli stranieri, come Hemingway.
L’aumento dei prezzi ha varie cause: nel 1922 derivò da un eccessivo debito pubblico che il Governo decise di pagare stampando moneta; in altri periodi storici, anche più recenti, l’inflazione è stata generata dall’aumento dei prezzi dell’energia, come nel periodo 1973-79 e con la guerra in Ucraina del 2022. Nel contempo però, in economia, si può avere un caso opposto e altrettanto interessante: l’esistenza di prezzi negativi. È curioso come i due fenomeni portino, nelle scienze economiche a due differenti comportamenti al ristorante.
Nel primo caso, con un’inflazione galoppante, conviene spendere i contanti il prima possibile, ancor prima che le banconote perdano di valore: se si decide di consumare un pranzo al ristorante, bisogna pagare subito e non si deve attendere la fine del pasto. Nel secondo caso, l’esistenza di prezzi negativi può fare supporre che il ristoratore ci paghi per consumare il pranzo. Ma, in economia si suole dire che «non esiste un pranzo gratis». L’espressione significa che tutto ha un costo, e se qualcosa sembra essere gratuito, implica solo che il costo è nascosto o distribuito tra diverse parti.
Cerchiamo ora di comprendere quel è il legame tra la transizione energetica ed i pranzi gratis. Negli ultimi anni il mercato dell’energia ha mostrato un aumento del numero di casi di prezzi negativi. Il caso storico forse più noto è il prezzo del petrolio WTI del 21 aprile 2020 pari a circa -37 dollari al barile. Fu un evento molto particolare di cui parleremo probabilmente in futuro. Nel mercato elettrico, invece, l’esistenza di un prezzo negativo è meno rara e tende a manifestarsi soprattutto nella fascia oraria dalle 10 alle 13, nel periodo di massima produzione da impianti fotovoltaici.
E questo non è un caso. Concettualmente un prezzo negativo implica che il produttore è disposto a pagare il consumatore affinché acquisti un determinato bene. Se ci riflettiamo bene, ciò avviene con i rifiuti: paghiamo affinché qualcuno se li prenda. Nel caso dell’energia la situazione è un po’ differente perché l’elettricità è comunque un bene (e non un rifiuto) ma, per qualche motivo e per un lasso temporale limitato, deve essere «svenduta». Perché ciò avviene e quali sono le implicazioni relative alla transizione energetica? In estrema sintesi si verifica perché si ha un eccesso di offerta rispetto alla domanda: si produce troppo rispetto a quanto viene richiesto, pertanto le imprese produttrici sono disponibili a pagare purché il consumatore sia disposto ad assorbire le quantità extra.
Sul lato dell’offerta ciò avviene perché in determinate fasce orarie o in certe giornate particolari si ha un aumento della produzione, principalmente derivante dai pannelli fotovoltaici e/o dagli impianti eolici (e in taluni Paesi anche dal nucleare). Tutte e due le fonti energetiche sono poco flessibili e non sono modulabili: producono quando c’è il sole o il vento. Questo spiega perché i prezzi negativi si osservano principalmente nelle fasce centrali della giornata. Se inoltre vi sono delle giornate particolarmente ventose, come avvenne in Germania nel 2017, si ha un’elevata produzione da impianti eolici che, di fatto, spiazza il mercato. La caratteristica cruciale è quindi la (scarsa) flessibilità di alcune risorse energetiche. È possibile aumentarla? La maniera più efficiente sarebbe quella di utilizzare le batterie per immagazzinare l’energia durante il picco di produzione per poi rimodularla durante la giornata. Tuttavia, al momento, questa tecnologia non è sufficientemente sviluppata per poter assorbire tutto l’eccesso di produzione.

I prezzi negativi hanno ripercussioni sui consumatori e sui produttori. Per i primi si ha una temporanea riduzione dei costi con il rischio però di avere un aumento dei prezzi in altre fasce orarie o in futuro poiché le perdite subite dai produttori durante i periodi di prezzi negativi possono essere trasferite ai consumatori sotto forma di tariffe più alte. Per i secondi il rischio è di avere meno incentivi per installare nuova capacità produttiva green: per qual motivo si dovrebbe investire in attività caratterizzate da guadagni non troppo elevati e, per di più, in graduale riduzione? In sintesi, i prezzi negativi dell’energia elettrica rappresentano una sfida e un’opportunità per il sistema energetico e per la transizione.
Quali potrebbero essere le strategie da adottare? Da un lato favorire una maggiore integrazione delle tecnologie di stoccaggio dell’energia, come le batterie (e i pompaggi idroelettrici o la produzione di idrogeno), per aiutare a bilanciare la domanda e l’offerta ed incrementare la flessibilità. Dall’altro l’adozione di sistemi di gestione della domanda, che incentivino i consumatori a utilizzare l’energia durante i periodi di abbondanza, anche attraverso lo sviluppo di reti intelligenti (smart grid).
Hemingway si liscia i baffi mentre osserva il menù del ristorante. Quel giorno comprerà molti oggetti, visitando la città e, dei suoi 90 centesimi di dollaro rimarranno alla fine ben 120 marchi.
Sergio Vergalli - Docente di Politica economica UniBs e past president Ass. Italiana Economisti dell'Ambiente
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