Italia e India, una nuova strategia per la globalizzazione

L’incontro di Brescia tra il ministro degli Esteri Antonio Tajani e quello del Commercio e dell’Industria Piyush Goyal riflesso di una convergenza ideologica e strategica tra i due Paesi
I ministri Goyal e Tajani a Brescia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
I ministri Goyal e Tajani a Brescia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
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L’incontro di ieri a Brescia tra il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani e il ministro del Commercio e dell’Industria indiano Piyush Goyal, al margine del forum economico italo-indiano, è più di un semplice scambio commerciale. È il riflesso di una convergenza ideologica e strategica tra due Paesi che, in forme diverse, stanno ridefinendo la propria posizione nel mondo attraverso il prisma del nazionalismo economico e identitario.

Negli ultimi anni, Roma e Nuova Delhi hanno accelerato un riavvicinamento politico culminato nel Partenariato Strategico lanciato nel 2023. Questo processo è stato favorito dalla gestione congiunta di alcune tensioni pregresse - come il caso della controversia sulla questione dei marò - e dalla crescente complementarità tra due economie che, pur con strutture molto diverse, condividono l’interesse per l’autonomia strategica, la reindustrializzazione e un nuovo attivismo nel Sud globale. La visita di Goyal non si limita a promuovere l’export e la cooperazione industriale in Lombardia, ma conferma l’India come attore centrale nella nuova strategia indo-pacifica dell’Italia, avviata con il disimpegno dalla Via della Seta cinese.

Dal canto suo, l’India del primo ministro Modi trova nell’Italia meloniana un alleato «naturale»: un paese occidentale critico verso la globalizzazione liberale, favorevole a una ridefinizione del multilateralismo e disposto a dialogare in modo pragmatico con potenze non occidentali. Il vero terreno comune è però ideologico. Meloni e Modi rappresentano due varianti del nazionalismo post-globale: la prima, radicata nel conservatorismo europeo, mira a difendere la sovranità culturale e a rilanciare l’industria nazionale in chiave euroatlantica.

Il secondo, frutto della lunga ascesa dell’Hindutva - cioè l’ideologia nazionalista hindu che sostiene la superiorità culturale e politica dell’identità hindu in India, promossa dal primo ministro e dal suo partito, il Bharatiya Janata Party, a scapito del pluralismo religioso e dei diritti delle minoranze - si propone come modello di democrazia autoritaria fondata su una visione etnico-religiosa della nazione.

Entrambi i leader fanno leva su un immaginario di rinascita: l’Italia che «si rialza» dopo anni di instabilità e crisi; l’India che ambisce a diventare Vishwaguru, guida spirituale e geopolitica del mondo. In questo senso, l’alleanza tra Roma e Nuova Delhi è anche simbolica: un ponte tra due forme di sovranismo - una occidentale e una globale - che sfidano l’ordine liberale ereditato dal secondo dopoguerra. In questo contesto, l’India di Narendra Modi non è più percepita dall’Italia come un partner problematico, ma come un modello credibile di «democrazia efficace», nonostante la repressione sistematica delle minoranze religiose, il controllo crescente sull’informazione e la marginalizzazione dell’opposizione politica. Il silenzio di Roma - o peggio, l’entusiasmo con cui esponenti del governo attuale definiscono Modi «un leader illuminato» - appare come una rinuncia consapevole ai princìpi democratici in nome del realismo geopolitico e delle opportunità economiche.

L’asse Tajani-Goyal si inserisce anche in una strategia pragmatica. L’Italia punta a diversificare i propri partner industriali e ad attrarre investimenti in settori strategici (automotive, difesa, semiconduttori), mentre l’India cerca accesso alle tecnologie europee e sostegno alla propria manifattura. Brescia, con la sua forte presenza imprenditoriale e la significativa comunità indiana, è un laboratorio naturale per testare questa sinergia.

Ma dietro l’efficienza degli scambi commerciali si profilano anche questioni critiche: il rischio di una convergenza acritica con un’India che scivola verso un modello democratico illiberale; il silenzio dell’Italia su diritti civili e pluralismo religioso in nome del realismo geopolitico; la marginalizzazione delle voci critiche in entrambi i paesi, a fronte di una retorica patriottica sempre più egemonica.

L’incontro di Brescia, infine, pone una domanda più ampia: siamo di fronte all’emergere di un «nazionalismo globale»? Se un tempo il nazionalismo era visto come reazione difensiva alla mondializzazione, oggi sembra farsi progetto condiviso da élite transnazionali che vogliono riscrivere le regole della cooperazione internazionale. L’Italia e l’India - con le loro differenze storiche e culturali - sono oggi unite da questa nuova grammatica politica: sovranista nei toni, globalista nei mezzi.

Nel mondo multipolare del XXI secolo, il nazionalismo non è più il contrario della globalizzazione, ma una sua nuova forma. E l’asse italo-indiano potrebbe diventare un esempio paradigmatico di questo paradosso.

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