Il ruolo geopolitico di papa Francesco

La politica di Bergoglio è stata esercitata su tre assi principali: critica alla globalizzazione capitalistica, pacifismo ed ecumenismo diplomatico
Papa Francesco e il presidente ucraino Zelensky - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Papa Francesco e il presidente ucraino Zelensky - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Francesco è stato il Papa della rettitudine, della moralità, della semplicità. La risposta che nel 2013 la Chiesa cattolica cercò di dare a una doppia crisi: la sua e quella di un ordine globale vieppiù contestato e fragile. Una Chiesa che rischiava di essere travolta dagli scandali che emergevano a cadenza quasi quotidiana e che era obbligata a fare i conti con le dimissioni di un Papa teologo come Benedetto XVI, il cui erudito conservatorismo mal si attagliava a un XXI secolo dove le certezze occidentaliste e cristiane parevano incrinarsi inesorabilmente.

E un mondo che dopo la sbornia globalista degli anni Novanta si avviluppava in una spirale che sarebbe poi deflagrata con la crisi del 2008 e il fallimento delle guerre Usa in Iraq e in Afghanistan.

Il Papa, pare abbia detto una volta Stalin, non dispone di «divisioni» e il suo potere religioso e morale s’infrange su questa banale realtà. È però attore importante delle relazioni internazionali, la cui parola può spostare opinioni e convinzioni. Rimane la guida della più importante confessione religiosa, con il suo quasi miliardo e mezzo di fedeli nel mondo. Può avvalersi di una impareggiabile struttura, con le sue gerarchie, la sua capacità di proiettare la sua influenza (e il suo verbo) su scala globale, la sua abile e capillare diplomazia, le sue tante organizzazioni collaterali.

È insomma un soggetto politico con cui si deve sempre fare i conti, come ben sanno i leader di Stato (e come ben sapeva anche Stalin). A dispetto del suo fare bonario, questi asset di potenza - tangibili e immateriali - Papa Francesco li ha utilizzati senza remore. Per mettere ordine nella sua Chiesa, ovviamente. E per fare politica, appunto.

Una politica, quella di Bergoglio, esercitata su tre assi principali. Il primo è quello della critica a una globalizzazione capitalistica di cui ha spesso sottolineato le sperequazioni e le iniquità: il suo avere alimentato ed esasperato quelle diseguaglianze di reddito e di ricchezza che hanno costituito le cifre distintive della nostra contemporaneità. Una critica, questa, che ha portato la sua Chiesa a contrastare duramente la linea draconiana di molti governi contro l’immigrazione mettendolo in rotta di collisione con importanti leader mondiali, a partire ovviamente da Trump. Il secondo è stato il pacifismo e la frequente, sofferta denuncia dell’incapacità delle grandi potenze di rinunciare alla guerra. Il terzo asse è quello di un ecumenismo diplomatico che l’ha spinto a promuovere un’azione diplomatica a 360 gradi, anche a costo di rompere con schemi consolidati e intraprendere iniziative ambiziose, su tutte un’apertura non scontata alla Cina.

Il suo messaggio ha catturato l’immaginario di milioni di fedeli e non, alla ricerca di una bussola - morale e politica - quando mille certezze parevano frantumarsi, la democrazia era vieppiù contestata e rigettata, e le promesse della globalizzazione s’infrangevano contro la sua realtà, così plasticamente evidenziata dal 2008 e quel che è seguito.

È stato un messaggio pieno e coerente, quello di Bergoglio. Ed è stato un messaggio semplice. Fin troppo semplice e binario. Incapace di confrontarsi con realtà invariabilmente più ambigue e opache. Come quelle di una globalizzazione che devastava i ceti medi del mondo più ricco, alimentava diseguaglianze estreme e, al contempo, permetteva a centinaia di milioni di persone di uscire dalla povertà. Come quelle di guerre che in quanto tali non sono, e non possono essere considerate, tutte uguali, che tra uno Stato aggressore e uno aggredito rimangono significative differenze politiche, legali e, anche, morali.

Come quelle di un gioco diplomatico che rimane complesso e ambiguo, dove Xi Jinping alle aperture di Papa Francesco ha dato poco peso. A ricordarci, infine, che a dispetto di tutto vi sono comunque dei limiti per chi la politica internazionale è costretto a farla senza divisioni.

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