Il ricco Nord nella morsa della povertà

L’Istat registra che una persona su dieci vive in condizioni di povertà assoluta e il fenomeno mostra un andamento assai più forte nel Settentrione; secondo la Caritas la crescita non è l’antidoto alle disuguaglianze
In molti devono procurarsi il cibo alle mense solidali © www.giornaledibrescia.it
In molti devono procurarsi il cibo alle mense solidali © www.giornaledibrescia.it
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Il ricco Nord è finito nella morsa della povertà. Lo rivela l’intreccio dei dati raccolti dall’Istat con quelli elaborati dalla Caritas. I rispettivi rapporti, presentati a pochi giorni di distanza, dimostrano come le cifre statistiche coincidano con quelle di chi aiuta le persone bisognose. L’Istat registra che una persona su dieci vive in condizioni di povertà assoluta, ovvero 5 milioni e 694mila cittadini.

In difficoltà estrema sono due milioni e 217mila famiglie. Il trend ha avuto negli ultimi dieci anni una crescita costante: dal 6,9% al 9,7 a livello individuale, dal 6,2% all’8,4 per i nuclei familiari. Cresce anche il numero dei minori indigenti: un milione e 295mila, pari al 13,8%. Il fenomeno mostra un andamento assai più forte al Nord, dove in dieci anni il numero delle famiglie in povertà assoluta è quasi raddoppiato: da 506mila a poco meno di un milione.

I dati dell’Istat sono confermati dai Centri di aiuto della Caritas italiana. Nei 3.124 punti di ascolto distribuiti in 206 Diocesi, l’organismo di assistenza della Chiesa cattolica ha seguito 270mila persone che chiedevano sostegno. Dal 2015 ad oggi il numero è cresciuto a livello nazionale del 41,6%. Nel Nord è salito del 52,1%. In generale sono in aumento le storie di cronicità, cioè di chi non ce la fa più a risollevarsi. Vi è uno stretto legame fra povertà materiale e culturale: il 67,3% ha solo la licenza di scuola media inferiore. Uno su quattro degli assistiti ha un’occupazione, ma evidentemente non basta. Tra questi il 16,5% sono operai, mentre la quota scende al 2,8% tra gli impiegati. Le famiglie con bambini sono le più numerose e rappresentano il 56,5% degli assistiti.

A ben guardarli, i dati danno indicazioni precise attorno alla questione. Lo spiega un altro rapporto che la Caritas Europa ha presentato nei giorni scorsi al Parlamento di Bruxelles. «Andare oltre la crescita economica» è il significativo titolo del dossier che illustra come «la crescita non è l’antidoto alla povertà e alle disuguaglianze». Tutti i dati raccolti smentiscono la narrazione radicata che una maggiore crescita economica crei posti di lavoro e che la ricchezza che ne deriva porti ad un miglior tenore di vita per tutti. Al contrario – sostiene la Caritas – il sistema economico attuale, incentrato sul Pil come principale misura del progresso, rappresenta una delle cause principali di ingiustizia sociale e ambientale.

«La crescita economica è così radicata nelle nostre menti come obiettivo politico prioritario che non ci fermiamo a ragionare sulle conseguenze», sostiene Lucy Ann, una degli autori del rapporto. Per creare economie e società eque e giuste sarebbe invece necessario «mettere al primo posto il benessere delle persone e dell’ambiente». Snodi strategici: la distribuzione delle ricchezze, l’accesso alla protezione sociale e concentrarsi sul lavoro dignitoso e non semplicemente sul «lavoro» qualunque esso sia.

Il lavoro non è il solo fattore sulla scacchiera sociale. Quello della casa, ad esempio, resta un grosso problema per molti: un milione e mezzo di famiglie italiane vive in abitazioni sovraffollate e carenti di servizi. Pesantissima si sta facendo la situazione nelle grandi città – Milano in testa con Roma – dove gli alloggi vengono messi a reddito con affitti brevi, si punta al turismo e alla mobilità d’affari rendendo inavvicinabili i canoni per chi ha un reddito da lavoro dipendente.

Il tema del lavoro in questi giorni è risuonato con forza anche a Brescia. L’analisi del rendiconto sociale dell’Inps ha dimostrato che il posto fisso non è più l’elemento dominante della scena, sia per le imprese sia per i dipendenti. Conferma, neppure tanto indiretta, del clima che si è registrato alla fiera «Domani lavoro», che si è tenuta al Brixia Forum.

Scenario variegato, quello che si può vedere sull’occupazione. Aumenta il numero degli assunti: negli ultimi tre anni è cresciuto di un milione e trecentomila unità; il tasso di occupazione sta al 62%. Eppure anche se il lavoro povero, secondo l’Ocse, è sceso al 9,9% del totale, non si può dimenticare che i salari medi italiani sono calati del 4,5% rispetto a quelli dell’Unione europea. Si è diffuso intanto il «lavoro cattivo», quello che rende impossibile gestire il rapporto fra vita lavorativa e familiare, con retribuzioni stagnanti e senza logiche premiali, con scarsa offerta di welfare aziendale.

A sostenerlo non sono le frange estreme del sindacato, ma la Compagnia delle opere, che proprio nei giorni scorsi ha presentato in Senato il «Manifesto del lavoro buono», frutto della riflessione fra imprese e parti sociali avviata al Meeting di Rimini. Creativo, partecipato, sicuro e premiante: così dovrebbe essere. Intanto, però, il lavoro non rappresenta più una ridistribuzione diffusa dei redditi e la povertà stringe la sua morsa, che si sente ancor più forte nel ricco Nord, proprio dove si allarga la forbice tra gli estremi, riducendo all’osso il ceto medio.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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