Addio posto fisso: a Brescia tempo determinato e dimissioni in trend
Addio al posto fisso sognato da Checco Zalone, e non solo da lui. La realtà è ormai ben diversa, e lo è per molti motivi. Da una parte la stabilità rassicurante del tempo indeterminato è diventata una rarità: solo uno nuovo contratto su cinque viene stipulato con questa modalità, nei decenni passati quella classica nella stragrande maggioranza, se non nella quasi totalità.
Le dimissioni volontarie

Dall’altra però sono le persone stesse, per loro libera scelta, a non volersi sentire legate per sempre a un’azienda (come facevano i nostri genitori e più ancora i nostri nonni), le dimissioni volontarie negli ultimi dieci anni sono quasi raddoppiate, con un’impennata dopo gli anni della pandemia.
Il dato del 2023 è emblematico: le cessazioni dal tempo indeterminato (conteggiando lavoratori italiani e stranieri) sono state 52.235, ovvero oltre il 10% di tutti i lavoratori dipendenti bresciani (che sono circa 493mila tra pubblico e privato).
Il Rendiconto Inps
Si potrebbe andare avanti ancora a lungo, il Rendiconto sociale provinciale 2023 dell’Inps è una fonte inesauribile (e interessantissima) di dati che fotografano noi Bresciani sul fronte dell’occupazione, ma non solo. Perché riflettere su quei dati significa riflettere su chi siamo.
Evoluzione. Dati che sono stati presentati dal direttore provinciale dell’Inps Francesco Cimino e dal presidente del comitato provinciale Luigi Ducoli.
Sul piano dell’occupazione si registra un saldo netto occupazionale positivo dovuto ad un numero di assunzioni superiore alle cessazioni (il tasso di occupazione è passato dal 65,9% al 66,7%); si registra inoltre un aumento del tasso di occupazione a fronte di una riduzione sia del tasso di disoccupazione (passato dal 4 al 3,4%) che di inattività (praticamente stabile attorno al 31% ma un leggero miglioramento).
Ammortizzatori e pensioni
Nel capitolo dedicato agli ammortizzatori sociali si può riscontrare un aumento dei beneficiari di Naspi ai quali è stata erogata la prestazione entro 30 giorni nel 94% dei casi, tempistica migliore sia del dato regionale che nazionale.
Passando al fronte pensionistico (quello che storicamente è il core business dell’Inps), emerge un andamento costantemente decrescente del numero di pensioni liquidate nel quadriennio 2020/2023 dovuto al termine degli effetti di quota 100 e alla modifica dei requisiti di opzione donna che sono più che dimezzate; nel dettaglio: in provincia vengono pagate circa 351mila pensioni con un importo medio per i maschi di circa 2.100 euro e per le femmine di circa 1.400 euro.
Anche in questo con una disparità di genere particolarmente pesante, che non si è certo andata attenuando nel tempo, la differenza di reddito tra uomini e donne è di circa 10mila euro all’anno.
Chi ottiene il posto fisso
Si diceva all’inizio della fine del posto fisso, c’è anche un altro dato che fotografa questa situazione. Nel 2014 il 37,2% delle assunzioni di quell’anno riguardava persone fino a 29 anni, e il 52,7% nella fascia tra 30 e 50 anni; gli ultra 51enni rappresentavano solo poco più del 10%.
Dieci anni dopo la situazione è molto cambiata, la fascia fino a 29 anni rappresenta il 38,3% (un dato abbastanza stabile nel tempo quindi), la fascia centrale perde circa 10 punti percentuali (passando al 43,4%), e quei dieci punti percentuali li guadagna il gruppo degli over 51 anni che conquistano una fetta di oltre il 18% delle nuove assunzioni nell’anno. Se pensiamo che fino a qualche decennio fa si andava in pensione a cinquant’anni, risulta immediatamente chiaro lo scenario nel quale ci troviamo a vivere.
La fiera del lavoro
Altra conferma che a cinquant’anni si pensi a tutto tranne che alla pensione (anche perché comunque non è oggettivamente tempo per averla) lo si è avuto anche nei giorni scorsi alla fiera «Domani lavoro» al Brixia Forum. Tra le migliaia e migliaia di colloqui una buona parte riguardava persone, appunto, con più di 40 anni e anche oltre.
Non si poteva non parlare dell’inverno demografico, con una situazione tutta Italiana, perché cresce l’età media (ed è buona cosa) ma non ci sono giovani. E questo sarà sempre più un problema.
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