Il progetto dei riformisti nel Pd

L’Assemblea di domenica scorsa ha mostrato la compattezza del partito democratico, impegnato a costruire una solida alternativa alla destra che governa con risultati tutt’altro che esaltanti, come mostrano i dati economici deludenti, e la totale assenza di una strategia di sviluppo e di ricucitura delle disuguaglianze crescenti. Alla costruzione di questo percorso ci siamo sentiti tutti richiamati e responsabilizzati, e non c’è dubbio che questa è la sfida principale alla quale in modo coeso dobbiamo rispondere.
Compattezza e condivisione di principi e obiettivi non significa però unanimismo, e io anzi penso che all’unanimismo di facciata sia preferibile una costruttiva e leale dialettica interna, che aiuti il partito democratico a essere il grande partito plurale in grado di guidare l’alternativa di centrosinistra.
Per questo con l’ingresso in maggioranza di Bonaccini, che alle scorse primarie aveva sfidato Schlein, si è aperto uno spazio per chi ha questa idea alta del partito democratico, e vuole concorrere a tenerla viva. Una nuova area politica, quella che viene definita dei «riformisti», che ha questo obiettivo: nella piena lealtà alla segretaria - cui va riconosciuto il grande impegno per ridare al partito democratico una identità riconoscibile e ricostruirne il tessuto di base, per riappropriarsi di temi e diritti sociali che sono nel nostro Dna - aiutare a dare al partito democratico una fisionomia più larga e competitiva.
Se infatti vogliamo svolgere appieno il nostro ruolo di perno e guida della coalizione di centrosinistra non ritengo che possiamo limitarci a coltivare e contenderci lo stesso campo nel quale si collocano i nostri alleati, ma abbiamo bisogno di allargare lo sguardo, e non regalare ad altri temi come la crescita economica, il rapporto con il mondo delle imprese, la sicurezza delle città, le politiche per la difesa del paese, lo sviluppo sostenibile ed equilibrato, l’interlocuzione con tutte le forze sindacali. Insomma il partito democratico deve continuare a coltivare e promuovere quella cultura di governo che è una nostra caratteristica virtuosa, testimoniata dalle migliaia di sindaci e amministratori locali che sono la spina dorsale della nostra comunità, e che non va diluita o peggio appaltata ad altri, col rischio di autoconfinarsi in una cornice identitaria insufficiente per battere la destra.
Ho trovato in qualche misura preoccupante la vicenda del disegno di legge Delrio sull’antisemitismo: una proposta su un tema certamente delicato ma ineludibile, suscettibile di modifiche e migliorie che, ne sono certo, sarebbero in grado di mettere d’accordo tutti, su cui invece si è scatenata una reazione emotiva e ingiustificabile che ha trovato sponde anche nel nostro partito.
Non è questo il Pd che conosco io, che ha invece sempre trovato il modo di includere e fare sintesi di posizioni articolate, come accade in tutti i grandi partiti popolari e democratici, e come ha del resto ricordato la stessa segretaria nel corso dell’assemblea di domenica. Io credo allora che provare a dare limpida rappresentanza a queste sensibilità costituisca oggi un contributo utile e necessario alla costruzione del partito democratico forte, plurale e accogliente che abbiamo sempre immaginato, e di cui abbiamo bisogno se si vuole battere la destra arrogante e inadeguata che governa il Paese.
*Senatore Partito democratico
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