Politica

Rampelli: «La destra di governo è matura, siamo già un partito conservatore»

Il vicepresidente della Camera ieri a Brescia tra politica nazionale e internazionale
  • Fabio Rampelli in visita al GdB
    Fabio Rampelli in visita al GdB - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
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    Fabio Rampelli in visita al GdB - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
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La destra di governo è ormai maturata e sta dimostrando di poter governare il Paese in una fase internazionale molto turbolenta. Questo è il messaggio da Brescia lanciato da Fabio Rampelli, tra i fondatori di Fratelli d’Italia e vicepresidente vicario della Camera dei Deputati. L’occasione è un convegno sull’urbanistica organizzato da FdI, ma nella visita al Giornale di Brescia si parla di politica nazionale e internazionale.

On. Fabio Rampelli come è andata ad Atreju?

Molto bene. Atreju è nata 27 anni fa come una festa nazional-popolare: poche simbologie, poca faziosità, poco partito e molto popolo. L’idea era creare un luogo in cui le persone stessero bene, potessero fare comunità e respirare un’aria diversa. Fin dall’inizio abbiamo invitato anche persone che non la pensavano come noi, per favorire un confronto vero. Non è mai successo che qualcuno venisse fischiato come è accaduto al ministro Zangrillo alla festa de l’Unità.

Quella destra di 27 anni fa è diversa da quella di oggi?

In realtà quella spinta innovatrice nasce proprio dal mondo giovanile. Il mondo giovanile della destra non era affatto estremista o nostalgico: era quello che spingeva per una destra moderna, normale, utile al Paese. È stata un’impronta decisiva lasciata dai giovani, che hanno anticipato la trasformazione della destra italiana.

La leadership di oggi nasce anche da quella stagione?

Sì. Nel mondo giovanile c’erano due scuole di pensiero: una più identitaria e autoreferenziale; l’altra, quella di Giorgia Meloni, che metteva la comunità prima della fazione. Giorgia aveva già sperimentato alleanze larghe nelle università, con cattolici, laici riformisti, socialisti. Quel mondo ha anticipato la metamorfosi della destra italiana.

Lei è tra i fondatori di FdI. Oggi siete al 30%, c’è una ricetta per mantenere questo consenso? Dovete trasformarvi in un partito conservatore?

Secondo me non deve trasformarsi, perché lo è già. Lo dimostrano i fatti: siamo il primo governo che vede aumentare i consensi al terzo anno di attività, un evento rarissimo nella storia repubblicana. La ricetta è semplice: far capire che ci crediamo davvero. Non lavoriamo per tornaconto personale o di partito. Quando Giorgia Meloni dice: «Se non vi va bene quello che faccio, mandatemi a casa», lo dice sul serio.

Mi riferisco al suo partito non al governo.

Vale per entrambi. In Italia il termine «conservatore» è spesso frainteso: viene confuso con «reazionario». Il conservatore conserva ciò che funziona e cambia ciò che non funziona. Il reazionario difende lo status quo. Noi non siamo reazionari.

Tornando all’evoluzione della destra, quali sono le sfide della destra di governo?

La sfida principale è rimettere in piedi un Paese che ha accumulato problemi strutturali enormi nel corso di decenni. Al di là delle responsabilità politiche – che oggi non serve neppure elencare, perché in Italia hanno governato un po’ tutti dal secondo dopoguerra in poi – il dato di fatto è che il sistema è stato progressivamente indebolito. Il nostro compito è provare a rimetterlo in funzione, con realismo e senza illusioni. Siamo ottimisti perché abbiamo potuto constatare che il tessuto socio economico è reattivo. La gente ha voglia di rigenerarsi, di riscattarsi, di partecipare anche a questa sperimentazione che di fatto tael è, perché non è mai accaduto prima che l’Italia fosse guidata, non da un centrodestra, ma direttamente dalla destra e da una donna che, a mio avviso, fa la differenza Perché c’è una particolare attenzione, concentrazione, pignoleria, sensibilità, e vocazione al perfezionismo.

Al netto della compattezza di cui parla per il governo di centrodestra emergono talvolta differenze sulla politica estera. È davvero così?

La politica estera la fanno il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri, naturalmente con il contributo fondamentale del presidente della Repubblica. Ed è questa la linea che il Paese segue. Finora non c’è stato un solo voto in Parlamento in cui un pezzo del centrodestra si sia discostato dalla posizione ufficiale del governo. Può capitare che qualche forza politica sottolinei una sensibilità diversa, anche per rappresentare una parte del proprio elettorato, ma questo non ha mai inciso sulla linea di fondo, che è rimasta compatta e coerente.

Lei cosa pensa del riarmo europeo?

C’è una percezione diversa rispetto al passato: siamo consapevoli di non essere in grado di essere autosufficienti con il nostro sistema di difesa. Come ha detto il presidente Meloni, la libertà ha un prezzo: se non paghi questo prezzo significa che la tua libertà la consegni a qualcun altro

Sul piano dei valori e della cultura politica, negli Stati Uniti chi sente più vicino: i Democratici o i Repubblicani?

Sul piano dei valori e della cultura di riferimento, sicuramente il mondo repubblicano, che oggi è rappresentato da Donald Trump. Detto questo, va riconosciuto che Giorgia Meloni ha dimostrato di essere assolutamente all’altezza del compito anche nel rapporto con Biden. Pur essendo Biden un democratico e portatore di valori spesso antitetici ai nostri, tra loro si era creato un rapporto che ha prodotto risultati concreti nelle relazioni tra Stati Uniti e Italia. Oggi Giorgia Meloni sta svolgendo un ruolo altrettanto importante: qualcuno deve esercitare una funzione di cerniera e di mediazione, e questo ruolo va continuato a svolgere.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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