Opinioni

Il piano non si scorda mai

Le zebre a pois sono quelle rare persone che fanno la cosa giusta anche quando è la meno prevedibile, pure quando è controintuitiva, persino se sembra antieconomica. La fanno perché, semplicemente, è ciò che va fatto.
«Quello strumento bellissimo è un caso disperato» - Foto/Pexels
«Quello strumento bellissimo è un caso disperato» - Foto/Pexels
AA

 

C’è un’enoteca a Milano che ha un nome preso dal titolo di un celebre romanzo di Raymond Quenau ed è arredato e gestito con uno stile che richiama la Parigi di cent’anni fa. Se siete fortunati, può darsi che ci entriate quando lì dentro si suona, che però non si sa mai quando capita.

A gestire il locale è Federica, che ha frequentato il liceo classico e poi si è laureata in lettere moderne perché «la formazione umanistica è quella che ti fa gustare meglio il rapporto con le persone». E le persone sono la linfa di questa che Federica definisce «un’enoteca di quartiere» anzi «la mia creatura».

In effetti, il suo modo di fare è più da garbata padrona di casa che da ostessa. I suoi clienti si sorridono d’ufficio, probabilmente incoraggiati dall’atmosfera. Si ha subito l’impressione lì dentro il tempo scorra a un ritmo più piacevole. L’asse di simmetria delle storie che si incrociano in questa vineria è un pianoforte verticale. Era stato comprato dalla sorella della bisnonna di Federica che, come le signorine di buona famiglia della sua epoca, aveva preso lezioni e poi continuato a suonare per il piacere di farlo.

Morta senza eredi, lo aveva lasciato alla sorella, ormai matura signora, che aveva dimenticato come si muovono le dita su una tastiera ma lo aveva conservato per coltivare quella nostalgia che si nutre di ricordi struggenti. Di generazione in generazione passa ai discendenti e viene prima piazzato nell’angolo della casa di famiglia, poi dimenticato in una casa di vacanza fino a che, inesorabilmente, approda a un magazzino. Ci finisce giusto mentre Federica matura l’idea di un locale tutto suo. Va a vederlo e sente che starà benissimo nello spazio tra il bancone e la sala, illuminato dalla luce naturale che entra dalla vetrata. Se lo fa recapitare e, solo quando i trasportatori lo sollevano, si accorge che era stato prodotto a Parigi. L’oggetto giusto al posto giusto.

È terribilmente scordato e Federica prova a rianimarlo. L’accordatore arriva e si rende conto che quello strumento bellissimo è un caso disperato. Con due giri di accordatura si arriva al minimo richiesto da orecchie poco educate. Nessuno potrebbe mai usare quella tastiera, se non l’accordatore stesso. E così nasce la storia: ogni tanto l’accordatore arriva in moto, senza preavviso, con un plico di spartiti. Chiede una birra ghiacciata che si versa da solo, suona fino a che non si innervosisce perché le note non sono come dovrebbero e allora raccoglie tutto, dice che è tempo sprecato e se ne va.

Ma è solo il suo modo per dire che non sa quando tornerà. Ma torna sempre, per dare un giro di accordatura e ripartire come se non ci fosse mai stata l’ultima volta, come se un’ultima volta non dovesse mai esserci. Io spero di riuscire un giorno ad ascoltarlo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

Icona Newsletter

@News in 5 minuti

A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.