Una cosa che si chiama passione

Luigi ha una cicatrice sulla spalla. Si vede che è il ricordo di una ferita trattata male. È irregolare, come se non fosse stata suturata o i punti li avesse messi un finto sanitario con scarsa mira.
Qualcuno disse che le cicatrici sono l’autografo di Dio. Luigi non ha tanto alte pretese, però a quel segno dà un nome che è «la passione». Quella cicatrice, come tutte, infatti ha una storia. Era il 1992 e Luigi stava facendo un lavoro al quale teneva tantissimo e che prevedeva la sua presenza ma soprattutto la sua prestazione fisica.
Luigi ha lavorato a lungo nel cinema e stare sul set prevede, in parecchie mansioni, che il corpo venga messo in gioco. Era primavera e Luigi stava facendo un tratto di strada in bicicletta e un motociclista avventato superò da destra un furgone, senza calcolare che oltre il furgone potesse esserci un ciclista. Lo travolse. Gli fece fare un ruzzolone di molti metri. Luigi si tirò in piedi a fatica, si rimise a posto da solo la spalla uscita di posto ma per le varie abrasioni dovette ricorrere al pronto soccorso.
Era molto amareggiato, con l’aggravante che a travolgerlo era stato uno che conosceva e che reputava un amico eppure in quel momento insisteva perché non aprisse una pratica per sinistro con l’assicurazione.
Il pensiero più urgente era però quello di tornare a lavorare. Non era una questione di rispetto del contratto o l’aspettativa per chissà quale successo: quella pellicola non sarebbe mai passata dai grandi circuiti. Era il desiderio profondo e intacitabile di dedicarsi a ciò che gli stava a cuore.
Era, appunto, passione: una condizione che è una sensazione diffusa e permanente che in pochi hanno la fortuna di conoscere e che in meno ancora hanno il coraggio di seguire e quindi la soffocano e la destinano a diventare quel profondo mal di vivere che ha radice nella frustrazione e rende a volte scomoda la vita su questo pianeta.
Fatto sta che Luigi accettò le prime cure e poi, in fretta, andò a fare quel che doveva. Si impegnò a ignorare il dolore e superare le limitazioni per le ammaccature. La ferita si riaprì, un paio di punti cedettero e restò una brutta cicatrice. Come una sottolineatura di un momento cruciale: quello in cui capisci che niente e nessuno ti può fermare.
Magari ne conoscete anche voi di persone che vivono così: senza piegarsi alla convenienza, senza fare calcoli di opportunità, indifferenti alle raccomandazioni di prudenza che prendono voce dalla paura di sbagliare. Sono, quelli come lui, le persone che agiscono «per vocazione», rispondendo a una chiamata che potrebbe anche non avere un mittente conosciuto. Ascoltata la storia di Luigi, ho rinforzato una mia convinzione: il miglior augurio che si possa fare a una persona è di essere appassionata. Ben direzionata e molto appassionata.
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