Quelli che guardano altrove

Le zebre a pois sono quelle rare persone che fanno la cosa giusta anche quando è la meno prevedibile, pure quando è controintuitiva, persino se sembra antieconomica. La fanno perché, semplicemente, è ciò che va fatto.
Alessandro Cruto nasce alle porte di Torino nello stesso anno in cui nascono Thomas Alva Edison e Galileo Ferraris (scienziato e politico meno popolare, ma di rilievo). Alessandro è destinato a ereditare il mestiere del padre, che è capomosatro (l’equivalente di quello che oggi sarebbe un carpentiere edile specializzato). Non è un destino che gli piaccia, ma non è che a tutti sia sempre stato dato l’agio di istruirsi.
Se non può avere i libri, si tiene stretta la curiosità ed è grazie a questa che scopre che il carbonio e il diamante sono gemelli diversi. Dal momento in cui lo sa, trasformare l’uno nell’altro diventa la sua missione. A che fine? Per regalare un diamante alla mamma. Si mette questo chiodo fisso in testa e si cimenta. Lo fa a tempo perso, procurandosi libri di chimica e studiandoli, approntando con pochi mezzi e molto impegno agli esperimenti più audaci.
Per saperne di più, frequenta i corsi dei maestri ed è così che scopre che i filamenti di carbonio potrebbero essere utili per perfezionare quella cosa che Edison ha fatto e che piace a tutti, ma che ancora non è a puntino: la lampadina. Lo dice a Ferraris, che si appassiona a questo «dettaglio».
Cruto gli dà corda solo perché gli piacciono le sfide. Ottiene il permesso di usare il laboratorio dell’Università di Torino. Si dedica con un po’ di cura e ottiene una lampadina quattrocento volte più luminosa di quella del signore statunitense. Risolve un paio di problemi sulla forma del vetro e sul vuoto da tenere. A quel punto l’Italia è unita da vent’anni, la lampadina serve, Ferraris e i Savoia sono parecchio stupiti da quello che Cruto sa e riesce a fare e quindi gli trovano i soci per fondare una fabbrica che produca le lampadine.
A Cruto pare meglio di niente, soprattutto perché il famoso diamante non l’ha ancora ottenuto. Sforna brevetti che concede in uso qua e là per l’Europa e fa passi da gigante e sì, ne è contento, ma si tratta di lampadine e non del famoso diamante, quindi nelle foto resta composto. Sposta la fabbrica in spazi più grandi e alza il capitale sociale a 500mila lire e siamo nel 1886.
Dieci anni dopo la questione della fabbrica ha esaurito l’interesse che poteva suscitare in lui. La cede (per vari passaggi verrà poi acquisita dalla Philips), sereno d’avere i soldi per fare l’unica cosa che mai gli sia stata veramente a cuore: il diamante artificiale, che a questo punto vorrebbe regalare alla moglie, visto che per la mamma è fuori tempo massimo. Le sue memorie, vergate a mano, sono per due terzi dedicate agli esperimenti sul carbonio. Capita, a volte, che ci si debba ostinatamente dedicare a un’idea per far bene qualcos’altro.
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