Opinioni

I venti siriani che agitano le acque anche in Libia

Dopo la cacciata di Assad il Mediterraneo cerca nuovi equilibri
I festeggiamenti nel mondo per la caduta di Assad - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
I festeggiamenti nel mondo per la caduta di Assad - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
AA

Lo stravolgimento a Damasco creerà grattacapi alla Russia, che nella base navale di Tartus ha la sua porta sul Mediterraneo. Difficile credere infatti che i nuovi «capi» siriani saranno ben disposti verso Mosca, che oltre ad aver aiutato Assad nella repressione gli ha dato infine rifugio. Ad appoggiare direttamente la ribellione è stata la Turchia di Erdogan, considerabile per ora il vero vincitore.

Questi attori e la situazione spostano così l’attenzione su un altro lato del Mediterraneo, ovvero la Libia: scenario foriero di grattacapi per l’Italia perché se, come chiesto da tempo, Mosca ottenesse una base nel porto di Tobruk, ci troveremmo l’orso russo sulla soglia di casa.

In estate era esplosa la crisi della Banca Centrale e della National Oil Corporation, le realtà che tengono in piedi l’economia della Libia: a cadere era stata la testa del governatore della Banca, Al Kabir e i giacimenti petroliferi nel Sahara erano stati di fatto chiusi. Poiché il 97% dell’economia dipende dall’attività estrattiva, la vicenda andava risolta pena la disgregazione del frammentato Paese. Così è stato, grazie alla mediazione dell’Unsmil (Missione Onu in Libia): da ottobre la Banca Centrale ha un nuovo governatore, Naji Mohamed Issa Balqasem e i giacimenti sahariani di El Feel e Es-Sider han ripreso ad estrarre, puntando a due milioni di barili al giorno (record negli ultimi dieci anni).

Ma le notizie buone finiscono qui: nella per ora irrisolta contesa tra Tripolitania e Cirenaica, il ruolo degli Haftar, veri e propri raìs di Bengasi, acquisisce peso sempre maggiore.

Il generalissimo della Libian National Army e il figlio Saddam traggono fiumi di dollari dal contrabbando di petrolio con gli Stati confinanti, dal commercio di armi, dalla contraffazione dei dinari libici e dalle speculazioni in valuta al mercato nero: una liquidità che potrebbe in prospettiva comprare le milizie che puntellano il fragile governo di Dbeibah a Tripoli. A ciò si aggiunga la variabile imprevedibile (difficile da valutare quanto a consenso popolare) di Saif al Islam Gheddafi, secondogenito del colonnello, che ha contestato i risultati delle amministrative tenutesi con buona affluenza, pur tra non poca violenza e intimidazioni, a metà novembre in una sessantina di Comuni, affermando di aver vinto e contestando la Commissione elettorale nazionale.

In tale scenario la Turchia, che sostiene Tripoli dal 2019, gioca spregiudicatamente, approfittando anche della fase di difficoltà di Mosca: da mesi ha infatti intrapreso rapporti formali col governo della Cirenaica. A fine ottobre alla Saha Expo (Salone della Difesa turco) era presente, infatti, oltre al ministro degli interni di Tripoli, Trabelsi, anche Saddam Haftar, come capo di Stato maggiore del Libyan National Army. A novembre una delegazione militare turca è stata addirittura ricevuta da Haftar per «discutere di cooperazione», mentre l’ambasciatore turco in Libia ha chiesto al Consiglio comunale di Bengasi di potervi aprire un Consolato.

È dunque evidente che Haftar preferisca giocare su due fronti, bilanciando l’ingerenza russa, mentre Erdogan persegua (con efficacia, Damasco docet) una proiezione di potenza a 360 gradi nel Mediterraneo e in Medio Oriente.

Roma, primo mercato per l’export e terzo per l’import della Libia, sin dalla guerra a Gheddafi e dalla battaglia di Tripoli del 2019 non ha avuto capacità di incidere direttamente negli eventi: mantiene buoni rapporti economici con Tripoli (con numerosi accordi siglati al 30esimo Forum delle imprese italo-libiche là celebratosi il 29 ottobre e la concessione a Eni, visto che a Dbeibah servono risorse, di sfruttare il giacimento di Gadames), ma è troppo esitante nei rapporti con Haftar, che alla fine potrebbe prevalere. Mosca, malgrado il momento non ideale, resta una spina che può incidere sempre più nei nostri fianchi, mentre Ankara, pur membro della Nato, agisce come potenza «terza». L’Italia, il «grande» Paese più prossimo non solo storicamente, manca come sempre di visione in politica estera e di profondità strategica.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

Argomenti
Icona Newsletter

@News in 5 minuti

A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.