I creativi anni ’90 in Carmine: la vita all’Atelier degli Artisti
Pubblichiamo «Con gli occhi di poi», il racconto in prima persona di Luisa Ariotti, assistente di Antonio De Martino per 16 anni: l’Atelier degli Artisti da lui fondato contribuì alla rinascita culturale della città, vivacizzando un quartiere – il Carmine – che in quegli anni era associato principalmente a prostituzione, droga e traffici malavitosi.
«Con gli occhi di poi racconta una storia che risale a tanti anni fa. Una storia che parla di un luogo, di un quartiere della città di Brescia, ma anche del lavoro di una donna, una giovane ragazza.
Nel 1989 ho incontrato Antonio De Martino, aveva bisogno di un’assistente – come si direbbe oggi – per far sorgere col tempo un punto di riferimento artistico, culturale, un luogo dove socializzare, promuovendo e valorizzando il quartiere del Carmine: un dedalo di vie e viuzze del centro storico di Brescia, nella zona più malfamata di allora.
Mi diede la svolta iniziale l’incontro con Roberto, un amico che non c’è più, simpaticissimo ed esplosivo, mi disse subito: «Ma tu un’agenda non ce l’hai?». No, non ce l’avevo l’agenda, ma diventò presto la mia compagna inseparabile per lunghissimi 16 anni, perché lì sopra annotavo, di giorno in giorno, di mese in mese, che cosa doveva succedere: chi era necessario chiamare, che testo scrivere, chi incontrare, quando fare gli allestimenti, quando andare dal tipografo e quando fare le pulizie. Già, ero una factotum! Riversai qui tutte le mie energie, il mio entusiasmo, il mio tempo, le mie idee.

Io e Antonio stavamo lavorando ad un’impresa enorme, della quale neanche ci rendevamo conto; lavoravamo alla creazione dell’Atelier degli artisti – già ufficialmente inaugurato nel 1983 con la fondazione del Gruppo 10 – un luogo piuttosto indefinibile, giacché legava l’attività pittorica di Antonio a quella di uno spazio espositivo per l’arte, la sperimentazione e l’incontro (così riuscii a definirlo negli ultimi anni della mia permanenza).
L’opera di Antonio De Martino non è stata solo l’opera di un artista solitario che negli ultimi anni di vita si misurava con interventi d’arte urbana, è stata qualcosa di più: fino al 2004 almeno, è esistito un altro pezzo di storia, l’intensa attività artistico-culturale dell’Atelier degli artisti di via delle Battaglie.

Il quartiere del Carmine aveva, come oggi, più vie d’accesso. Se arrivavi dalla torre della Pallata, varcata la soglia all’incrocio con corso Goffredo Mameli, eri già dentro un susseguirsi di piccole attività commerciali e botteghe d’artigiani. Da via San Faustino entravi in contrada del Carmine e ti accoglieva la splendida chiesa di Santa Maria del Carmine, con i suoi pinnacoli, le formelle in terracotta e smalto. Entrando da via Elia Capriolo spuntava il negozietto di fiori e tele dipinte del pittore Quaranta, che se ne andava in giro con un’Ape, e più in là il cinema a luci rosse, la pelletteria, il corniciaio Danilo, il tabaccaio e la salumeria, targhe trofei e coppe, biancheria intima … un pullulare di vita, un piccolo presepe, delimitato dalla città che stava fuori e che non sembrava aver nulla a che fare con questo dentro, come un tutt’uno stretto a sé. Il Carmine non era solo prostituzione e traffici malavitosi, era qualcosa di più, qualcosa che oggi si avverte spesso mancare: un senso di comunità.
C’era anche una comunità che vale la pena ricordare, una comunità dentro la comunità, quella condotta dal Padre marista Renzo Pasotti. All’ombra della chiesa del Carmine, la comunità ospitava giovani e donne in difficoltà, si chiamava Carmen street, Centro di aggregazione giovanile. Quando passavamo per un saluto, Renzo, era sempre alle prese con persone da quietare, problemi da risolvere, transiti di cose, cibo da somministrare: una grande famiglia.
L’Atelier degli Artisti era ospitato all’interno dell’antico palazzo della famiglia Rovetta (anche l’antenato Francesco fu illustre pittore), al civico n. 36 b di via delle Battaglie. L’ingresso dalla strada era costituito da una grande porta a vetri con struttura a reticolato in ferro, come una vecchia officina. Su due piani comunicanti con una scala a chiocciola, l’Atelier era riscaldato nei lunghi inverni unicamente da un camino a legna, costruito da Antonio e da una stufa al piano terra.

Il sabato molti artisti facevano il giro delle inaugurazioni nelle gallerie d’arte. AAB, UCAI, Museo della fotografia di Ken Damy, galleria La Città di Alberto Valerio e poi Atelier degli artisti. Ho conosciuto molti artisti, mi ricordo in particolare del sorriso di Remo Bombardieri, dello scultore Menèc sempre allegro, dell’artista globetrotter Roberto Formigoni, della materia color pastello nelle tele di Francesco Apicella, dei volti femminili di Enzo Archetti, del generoso slancio di Ruben Sosa, grande interprete del fumetto, della grafica raffinata di Marco Tancredi e dei suoi libri d’artista, della grazia e dolcezza del maestro Dino Decca, della bontà senza fine di Ugo Aldrighi, dell’umiltà di Gianni Coccoli, della poesia di Lieo Grassi, letta dall’instancabile Sergio Isonni e dei racconti come voli pindarici di Oliva Guerini Moroni dalla sua Valle Trompia.

Vicino al fuoco del camino offrivamo loro un bicchiere di vino o un buon caffè, chiacchierando sulle mostre visitate, sugli artisti e sui progetti futuri. C’erano anche gli studenti bresciani dell’Accademia di Belle Arti di Brera, protesi ad un linguaggio più moderno, specchio del loro tempo. Le sculture esili e verticali di Marcello Gobbi, i disegni fumettosi di Fausto Gilberti, le sculture materiche di Leandro Nadalini, i dipinti e le incisioni di Camilla Rossi, e poi le opere di Daniela Mosconi, Francesca Sala e il collettivo Game Over, trovavano nella frequentazione dell’Atelier un loro spazio d’interazione.
I primi anni della mia attività in divenire di coordinatrice, addetta stampa, autrice di testi e presentatrice degli eventi, trascorsero con un impulso quasi frenetico: c’erano spazio e volontà per esprimersi, promuoversi, trovare alleanze, sovvenzioni, attenzione, anche in seno alle amministrazioni locali. Quante volte ci siamo presentati al sindaco di Brescia, agli assessori, ai presidenti di circoscrizione (la IX!), a vari enti per chiedere patrocinio e sostegno. Quante volte abbiamo ottenuto credibilità dagli insegnati delle scuole del quartiere e della città (sempre partecipe la scuola media Mompiani rappresentata da Franco De Benedetto), invitati a partecipare a concorsi a premi per i migliori elaborati artistici degli alunni. Quanti artisti e artigiani abbiamo coinvolto con le loro opere, inondando le strade del quartiere di colori, gioia, nuove relazioni che sapevano diventare col tempo scambi culturali.
In diverse occasioni arrivavano anche le emittenti radio e TV locali e i giornalisti della cronaca di Brescia, della redazione arte e cultura. Bisognava essere brillanti e incisivi nel comunicare. Alcuni giorni prima dell’inaugurazione di mostre e iniziative culturali, mi recavo alle redazioni dei giornali locali per illustrare le iniziative, con fotografie alla mano, talvolta anche presso le emittenti radio per piccoli inserti informativi nel palinsesto o vere e proprie interviste, come quella fatta con Ivan Cattaneo che da noi esponeva le 100 Gioconde Haiku.
Entravo in redazione con l’appuntamento (incrociavo ogni tanto il saluto di Fausto Lorenzi, stimato critico d’arte) ed ero accolta benevolmente in una piccola stanza a vetri, quasi sempre da Wilda Nervi. Quando uscivo da lì, un po’ sfinita per l’articolata presentazione, ero felice di aver fatto bene il mio lavoro. In quel tempo privo di social, gli eventi erano comunicati di persona, via fax e solo più tardi con le prime mail. Si spedivano per posta anche gli inviti cartacei. Passavo almeno un’ora ad affrancare le buste, scritte a mano come piaceva a me, e mi divertiva acquistare francobolli scelti, che arricchivano lo sguardo del destinatario.
Un giorno fu la volta – del tutto singolare – della rassegna espositiva «Uomini del Novecento. Omaggio ad Alberto Burri. Opere di Gianni Coccoli, Antonio De Martino, Piero Gensini», era il 1999. All’inaugurazione della mostra si presentò solo l’allora sindaco di Brescia Paolo Corsini. Nell’imbarazzo totale, senza comprendere che fine avessero fatto i nostri inviti spediti come di consueto, apprezzai l’intervento del sindaco che elogiava il mio testo di presentazione stampato nel catalogo. Avevo infatti chiuso il testo descrivendo l’opera degli artisti come un filo rosso che unisce le regioni di provenienza (Lombardia, Toscana, Campania) in un’ipotetica unità d’Italia!
Furono dieci le edizioni di Artessenza, manifestazione nata nel 1989, che si svolgeva a maggio in una tre giorni di happening, mostre, spettacoli, concerti e performance, coinvolgendo il quartiere del Carmine e la città, con artisti provenienti anche da altri Paesi (ricordo il concerto di Angel Pato García dei Los Paraguayos!). Eravamo però giunti al termine di un’esperienza che andava rifondata, e nel 1999 ci venne l’idea di esternare, letteralmente, situazioni espositive. Così nacque Installando che poneva al centro un percorso di grandi installazioni artistiche nel tessuto urbano del quartiere (sulle pareti di palazzi, sui balconi, sotto gli archi delle vie, negli spazi aerei delle arterie), promuovendo inoltre la valorizzazione di beni storici e architettonici.

Installando suscitò curiosità e interesse (ricordo la visita inaspettata del gallerista Massimo Minini). Ogni edizione proponeva un tema. Nel 2002 scegliemmo «Alterazioni» e vi parteciparono artisti quali Marco Tancredi, Gabriella Goffi, Antonio De Martino e gli studenti della LABA di Brescia e del Liceo artistico M. Olivieri di Sarezzo. Nelle vie del Carmine, le grandi installazioni, interrogavano i passanti, allietavano lo sguardo, spostavano l’attenzione dalla cronaca quotidiana all’immaginario, creando dibattiti, talvolta accesi. Per questa edizione organizzammo un grande evento serale, il concerto di Joe Senese con la sua Napoli Centrale che suscitò grande successo di pubblico, allestito nel mezzo di contrada del Carmine, appositamente chiusa al traffico.
All’Atelier degli artisti si programmavano anche altre iniziative d’interesse. In particolare concerti di musica, soprattutto classica. Penso sempre con emozione al concerto della pianista Alessandra Agosti, applaudita con grande ovazione o ai concerti-lezione del violinista Ilario Pastore, vestito in abiti settecenteschi a ridondare di significato e bellezza le sue virtuose esecuzioni al violino.
L’esposizione fotografica sul tema dei bambini soldato della Sierra Leone, a cura di Emergency, lascia una traccia nel mio cuore. L’argomento tragico e reale fu al centro di un incontro pubblico nei primi anni Novanta, al quale parteciparono molte persone. Presentai un libro che mi ero letta per preparare un piccolo dibattito sull’argomento (con grande stupore dell’autore).
«Blu cammello e Pesce fresco» è l’originale titolo di un’esposizione di veri gioielli di artigianato artistico realizzati in ferro, tessuto, cuoio, terracotta, che fu allestita negli spazi espositivi dell’Atelier nel 1999, in seguito ad una scoperta che facemmo a Firenze (dove andammo a visitare l’amico Agostino Dessì, artista di maschere tradizionali del Carnevale). Incontrammo alla Fortezza da Basso Stefano Pilato, fondatore del laboratorio artistico Blu cammello, che per il dipartimento di salute mentale dell’ASL di Livorno aveva realizzato esperienze di costruzione creativa, ai fini riabilitativi dei pazienti. Fu un incontro che ci lasciò una grande ricchezza umana, un grande esempio di inclusione sociale.
Questi eventi rappresentavano una parte di quanto riuscivamo a far accadere intorno a noi. C’era anche l’attività espositiva di Antonio De Martino in giro per l’Italia o all’estero. E c’erano le opere di artigianato artistico made in Atelier, esemplari unici di una sperimentazione ad ampio raggio: dal vasellame dipinto con la tecnica antica dell’encausto (si tenevano corsi aperti al pubblico), alle maschere rivestite in carta recuperata da archivi dei secoli scorsi, fino alle strutture separé realizzate con avanzi di lavorazioni industriali in garza, poi appositamente tinti e annodati su ampie strutture autoportanti.
A distanza di molti anni, con gli occhi di poi, posso dire di avere avuto fortuna, perché sono stata testimone e animatrice di un quartiere che fu per me una vera fucina di vita, comunità, arte. Non serve più certo invitare cittadini e turisti (quanto li sognavamo allora!) a visitare il Carmine, oggi fiorente borgo d’artisti e movida. Non serve più certo attendere che un ordine religioso s’installi nel quartiere per riportare la morale, come successe nel 1346 con i Carmelitani che qui furono inviati.
Ciò che serve è il ricordo che percorre sempre la Storia dell’uomo e delle sue cronache. Questo racconto si colloca ora nella memoria personale e collettiva, vuole essere anche un omaggio sincero all’opera dell’artista Antonio De Martino, recentemente scomparso, alla nostra attività pioneristica, le cui gesta si raccolgono dentro ad un’altra opera d’arte: l’Atelier degli artisti di via delle Battaglie 36 b.
Vorrei aggiungere una nota personale, la rivendicazione serena di una donna che per lunghi anni ha lavorato con impegno e passione, la giovane donna che sono stata, all’ombra luminosa dell’Atelier!
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