Massimo Minini compie 80 anni: la mostra e l’intervista
Ottant’anni di età (li compie oggi, sabato 14 settembre) e cinquanta di attività di gallerista, iniziata nel 1973 a Brescia con lo spazio Banco. Massimo Minini festeggia con una mostra, promossa da Carme e Bellearti nell’ex chiesa dei SS. Filippo e Giacomo, in via Battaglie a Brescia (inaugurazione domenica 15 settembre alle 10, poi fino al 10 novembre, gio-dom 17-20, ingresso libero).
Abbiamo intervistato il gallerista.
Partiamo dal titolo: «Il caso o la necessità?», da dove arriva?
Da un libro del medico e scienziato Jacques Monod (“Il caso e la necessità”, ndr) un libro adottato da intere generazioni e schiere di artisti, in cui l’idea è quella - di cui parla anche Kundera nell’“Insostenibile leggerezza dell’essere” – che un evento ne genera un altro, e poi un altro, e senza questa catena la mia vita sarebbe stata diversa. Il caso è sempre ciò che domina la vita.
Lei crede nel caso?
Di fatto non c’è alternativa… Quando devi andare a Milano e dici: prendo la Brebemi o la A4? Poi prendi la A4, e bam! vai sotto un camion...
È diventato gallerista per caso o per necessità?
Per caso, però l’avevo preparato. Il caso bisogna prepararlo, per poterti trovare là dove succederà qualcosa di straordinario. Se sei vago o distratto non ci arriverai mai. Io non sapevo cosa avrei fatto da grande, e in attesa di decidermi mi ero iscritto a Legge a Milano, perché mi sembrava la cosa più facile… Poi naturalmente non l’ho neanche finita perché ho inciampato nel ’68 e così via. Però arrivando a Milano ho scoperto che c’erano le galleria d’arte. Sapevo che c’era l’arte contemporanea, ma come tutti gli studenti di liceo classico eravamo arrivati fino al ’700, e gli ultimi 5 minuti il professore ci ha detto: guardate, dopo il ’700 c’è stato qualcos’altro ma ormai non c’è più tempo, se qualcuno vuole approfondire s’arrangi. Devo dire che non è stata una cattiva idea, perché se me l’avessero spiegata loro, se me l’avessero macinata e digerita come l’arte antica, non avrei avuto la libertà di giudizio sull’arte contemporanea che era considerata roba da matti.
E com’è avvenuto il suo primo incontro con l’arte?
Quando in seconda liceo ci portarono a vedere la mostra di Mantegna a Mantova, la mitica mostra del ’61, ci sono rimasto, e in memoria di questa prima mostra importante quando trovo il catalogo lo compro, adesso ne ho 15, tutti uguali. Fu una mostra clamorosa, il catalogo ha avuto sette edizioni, lo stampavano a manetta tutte le settimane, c’era una coda che arrivava fino a Cremona...
Da Mantegna com’è saltato all’arte contemporanea?
Basta non avere paraocchi, non puoi pensare che oggi uno pitturi come un suo collega di 500 anni prima, concedigli un minimo di libertà…
Cosa cerca in un’opera d’arte?
Se non la capisco subito preferisco, perché quando tu vedi una cosa e dici: questo è quella roba là, vuol dire che assomiglia a qualcos’altro e quindi vuol dire che non è autentica arte, creazione... È qualcosa che l’artista ha visto, ha annusato, mentre un artista deve un po’ sorprendere, deve aggiungere qualcosa al già conosciuto. L’artista è uno che allarga il nostro mondo, non che lo restringe, penso a Lucio Fontana, a Jackson Pollock… Che poi il nuovo può avere anche delle forme antiche, come ha fatto Morandi, come Salvo. Salvo ad esempio è stato un artista molto interessante perché ci ha spiegato, ci ha fatto capire che le contraddizioni fan parte del nostro mondo, lui era un monellaccio renitente alla leva, l’han beccato mentre cercava di espatriare, l’hanno messo dentro mentre era al confine tra l’Iraq e la Turchia, e se non c’era Gianni Agnelli era dentro ancora adesso... Salvo era di Torino e per l’arte povera a Torino era un buon momento, e allora l’Avvocato l’ha tirato fuori di galera. M’ha detto che era dentro perché alla dogana turca aveva picchiato una guardia...
Quanto contano questi aneddoti di vita, nel suo approccio all’arte e agli artisti?
Contano perché ti fan capire, ti fan vedere chi è la persona. Io andavo dagli artisti e volevo capire cosa facevano, cercavo di parlare del lavoro, ma loro non volevano mica parlare di questo. Andavo da Salvo e mi diceva: mi spiace ma adesso c’è l’arrivo del Giro d’Italia, poi c’è la partita di biliardo…. Andavo a Parigi da Toroni e mi diceva: je m’en fous de la television, je m’en fous de toi, espèces de con...
Sono diventati anche amici?
Con Toroni ci ho litigato furiosamente, cioè ha litigato lui con me, io con lui no. Perché io faccio molta ironia, e l’unica volta che ho fatto ironia su di lui se l’è presa e mi ha mandato a quel paese.
L’ironia fa parte del suo approccio all’arte, e anche alle persone...
Sì, è uscito un libro adesso, ce l’ha portato Francesco Poli «L’ironia è una cosa seria». L’ironia è un veicolo che favorisce l’apprendimento di nozioni che invece con la pesantezza non passerebbero, è una strada subdola ma intrigante per far passare concetti diversi. Poi non tutta l’arte è ironica, c’è anche l’arte tragica…
Come vede l’arte di oggi?
Nell’antichità c’era un clima di koiné, poi ogni periodo ha avuto il suo stile, e l’artista man mano si è affrancato. Infatti le opere d’arte antica non erano firmate, le sculture del Partenone non sono firmate da Fidia. Adesso è rimasta solo la firma…
Parla di koiné, adesso c’è l’intelligenza artificiale, che aspira ad essere la nuova koiné.
Farà la fine di Second Life. Sarà importante perché applicata ai computer ci permetterà di fare dei calcoli pazzeschi in un nanosecondo, ma per nostra fortuna sull’arte non può arrivarci, perché l’intelligenza artificiale è un’intelligenza meccanica, scientifica, non so come chiamarla, ma non ha un cuore, non ha le budella. È un grande cervello, un cervellone, infatti si chiamano cervelli elettronici, ma le manca l’umanità, la passione, la capacità di soffrire, di piangere, di ridere. Però può dirti quanto fa 3,14 alla ventesima della radice quadrata di xyz. Sono quelle cose che ho cercato di non fare, di non restarne prigioniero perché non mi piacevano, e sono arrivato all’arte.
Tanta gente è convinta che l’arte contemporanea sia incomprensibile. Come convincerla a venire a vedere questa mostra?
Non puoi pensare di andare in un posto dove per definizione gli artisti espongono i loro ultimi prodotti, il loro «uovo del giorno» come le galline, e avere la pretesa di sapere già cos’è, com’è fatto… Calma, guardalo, non levarti il piacere della scoperta, se arrivi con l’attitudine di chi dice «tutti matti questi qua», oppure «questa roba son capace di farla anch’io», allora vuol dire che viaggi col freno a mano tirato. Io dico: lascia andare... molla giù la macchina e vediamo dove va a finire. D’altronde se gli esperimenti non li fai in un campo aperto come l’arte, dove vuoi farli? L’arte è il territorio libero dove si può provare, e anche se provare non vuol dire che tutti inventano cose strepitose, qualcuno ce la fa.
In tanti ci provano, anche oggi.
Sì, specialmente i ragazzi che hanno capito che possono sfangarla senza lavorare e fare l’artista. Il problema è che abbiano qualcosa da dire, perché nell’arte non devi essere bravo a riprodurre la realtà, l’arte intesa così era quella che c’era fino all’altro ieri. Raggiunta la vetta della perfezione con Raffaello, l’arte ha cominciato poi a scendere, e nella discesa ne ha poi combinate di orbe... e siamo ancora qui.
Compie 80 anni. Cosa vuol dire essere nato in provincia di Brescia nel 1944?
Non me n’ero accorto, però (ride), non me l’hanno neanche chiesto… Certamente era un altro mondo, non c’è niente che oggi assomigli a quel mondo là, che si proiettava verso un futuro che non sapeva cosa sarebbe stato. D’altronde nessuno sa cosa sarà il futuro. Per chi studia un po’ la storia, la storia dell’umanità appare come un insieme di uccisioni, stragi, guerre e ogni tanto c’è anche qualche periodo di pace...
Non è ottimista sul futuro.
Si parlava di intelligenza artificiale… Sarà utilissima per certi versi, anche per fare delle nuove bombe atomiche, più potenti, e poi andrà a finire che ci distruggerà. Non è mai successo che l’uomo inventasse qualcosa per non provarla.
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