Se i governatori uscenti diventano figure scomode

Non è solo una questione di personalità e persone, anche se soprattutto De Luca e Zaia non sono conosciuti per la loro remissività nei confronti dei rispettivi leader nazionali
Luca Zaia - Foto Francesco Dalla Pozza
Luca Zaia - Foto Francesco Dalla Pozza
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Le controversie sulla scelta dei candidati alla presidenza di alcune regioni sono accompagnate dal ruolo che tre uscenti stanno avendo in questa difficile partita. In Puglia, il probabile candidato del centrosinistra Antonio Decaro potrebbe veder affiancate le sue liste di coalizione da quella dell’attuale governatore Michele Emiliano (non più candidabile per un nuovo mandato); in Campania, il centrosinistra allargato (forse) al Movimento 5 Stelle potrebbe candidare l’ex presidente della Camera Roberto Fico, però l’uscente Vincenzo De Luca (anche lui non più ricandidabile) sembra pronto a presentare una sua lista di appoggio.

Vincenzo De Luca - Foto Ansa/Ciro Fusco
Vincenzo De Luca - Foto Ansa/Ciro Fusco

In Veneto il centrodestra non ha ancora scelto il candidato, ma Luca Zaia (il terzo uscente non ricandidabile per legge) è forte di una gran quantità di consensi ottenuta dalla sua lista personale nel 2020, quindi vuole ripresentarla, anche se Salvini (e in parte anche la Meloni, come dimostrano le recenti frasi di La Russa) sta premendo per evitare che il Carroccio sia fortemente ridimensionato dal partito del «Doge» (leghista). Un bel guazzabuglio, insomma.

Non è solo una questione di personalità e persone, anche se soprattutto De Luca e Zaia non sono conosciuti per la loro remissività nei confronti dei rispettivi leader nazionali. Questi ultimi, dal canto loro, temono che le liste personali finiscano per consegnare ai governatori uscenti un potere enorme sulla gestione futura delle Regioni. In altre parole, se il centrodestra ha avuto in Veneto il 55,8% alle Politiche e il 76,8% alle Regionali, con una lista Zaia al 44,6%, è molto probabile che gli eletti del governatore uscente finiscano per avere la maggioranza degli eletti e dei posti in Giunta, riducendo così il nuovo presidente del Veneto (chiunque esso sia) a un re travicello, e i partiti nazionali a vassalli del sovrano uscente.

Così il centrosinistra in Campania, che alle Politiche ha avuto il 30,2% e alle Regionali il 69,8%, con la lista De Luca al 13,3% (a ridosso, cioè, di un Pd fermo al 16,9%). Cosa accadrebbe se Fico (M5s) vincesse le elezioni con una coalizione di centrosinistra largo ma con gli eletti di De Luca determinanti per la vita o la morte della Giunta regionale? Un caso minore di questo tipo è in Puglia, dove Emiliano può avere un certo numero di voti, non al livello dei suoi attuali due colleghi campano e veneto, ma che comunque potrebbe dare più di un grattacapo a Decaro (il quale, nel Pd, ha idee e posizioni diverse da lui). Né vale la soluzione del nodo di Gordio: tagliare con un colpo di spada le liste degli ex presidenti.

C’è il rischio che qualcuno faccia correre la propria lista da sola – soprattutto in Veneto – e che l’esito per la coalizione favorita diventi incerto, se non nefasto. E c’è la difficoltà di Salvini, che ha le roccaforti (Lombardia e Veneto) già insidiate dalle richieste di Fratelli d’Italia (la Meloni vuole per uno dei suoi la presidenza di una delle due regioni) e ora rischia di veder crollare il Carroccio nel Veneto della «Liga», surclassato dal partito locale di uno Zaia che politicamente è agli antipodi del vicepresidente del Consiglio. De Luca e Zaia sono mine vaganti sulla via delle prossime Regionali. Ad oggi, ogni esito è possibile.

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