Gaza e la scuola: umanità, non politica

Mentre la stampa denuncia ormai da giorni il massacro in corso nella Striscia di Gaza, e il governo israeliano ribadisce la sua ferma volontà di non fermarsi, nel mondo della scuola nascono spontanee iniziative di protesta pubblica. Dirigenti, docenti e gruppi di insegnanti si mobilitano per richiamare le coscienze degli italiani di fronte a ciò che accade.
Anche noi, insegnanti bresciani, abbiamo dato vita ad alcune di queste iniziative nate dal basso, per difendere la dignità umana calpestata di un popolo, invitando a scioperare.
Eppure, di fronte a questi gesti, qualcuno ci accusa di «politicizzazione». Lo fa con argomenti che suonano così: «Se si manifesta per i civili palestinesi, bisogna farlo anche per gli ostaggi israeliani»; oppure: «Se si protesta contro le stragi di Gaza, perché non anche per il Mali, la Somalia o il Congo?»; o ancora: «Difendere i palestinesi equivale a sostenere Hamas».
Questi timori non nascono da lucidi ragionamenti connessi a profondi ideali, ma da cecità politica e da una comunicazione distorta che rovescia la realtà.
Perché la sproporzione della violenza esercitata dal governo israeliano contro i Palestinesi, dopo il deprecabile attacco di Hamas del 7 ottobre, è sotto il naso di tutti. Solo chi abbassa volontariamente gli occhi della coscienza finge di non vederla. Continuare a spacciare l’invasione di Gaza come «legittima difesa contro Hamas» è insostenibile. Come ci si può ancora credere o, addirittura, sostenerlo pubblicamente? Persino molti israeliani lo hanno compreso e protestano contro il loro stesso governo: sanno che questa strategia militare non salverà alcun ostaggio, ma condurrà soltanto a un democidio, cioè al tentativo di cancellare un popolo dalla terra.
«Democidio»: espressione che in greco antico significa letteralmente «sterminio di un popolo». Una parola troppo forte? Davvero? Cos’altro è bombardare scuole e ospedali senza criterio? Cos’altro è affamare civili impedendo l’arrivo degli aiuti umanitari? Cos’altro è costringerli a un esodo di massa, sapendo che in molti moriranno lungo la strada? C’è forse una parola più adeguata per descrivere tutto questo? Ecco perché accusare di antisemitismo chi denuncia la politica dell’attuale governo israeliano è un atto di malafede. Ed è altrettanto assurdo bollare come «faziosa» la sacrosanta difesa dei civili palestinesi solo perché non include tutti i popoli in guerra.
Non è forse la dignità umana, ovunque venga ferita, che chiediamo di proteggere, sapendo che, da dotti di una nazione come la nostra, avremmo vergogna a far finta di nulla? Difendere la dignità umana dei palestinesi significa difendere anche la nostra, quella degli israeliani ostaggio di Hamas e quella ogni altro popolo ferito sulla faccia della nostra fragile dimora terrestre.
Nemmeno regge l’obiezione che i palestinesi «non esistono come popolo» perché non riconosciuti come Stato. I popoli esistono prima degli Stati e proprio per questo suona scandaloso che l’Italia non abbia ancora aderito al folto numero di nazioni che riconoscono il diritto all’esistenza di uno Stato di Palestina. Che timore c’è? Si pensa sia un’offesa allo Stato d’Israele? E perché mai legittimare la proposta di esistenza di due Stati indipendenti, nella speranza della loro reciproca riappacificazione, dovrebbe offendere lo Stato amico e alleato a cui è stata già concessa questa possibilità dopo la Seconda Guerra Mondiale?
Per tutte queste ragioni, è tempo di smettere di nascondere tessere di partito in tasca cercando inutili artifici con le parole per l’assurdo timore di perdere una parte del proprio elettorato. Tutti quanti, da sinistra a destra passando per il centro, dobbiamo ricordare che, prima di ogni identità politica o nazionale, ciascuno di noi porta con sé una carta d’identità più profonda: quella di essere umano. Quello che accade oggi ai Palestinesi tocca il fondamento stesso della dignità umana, che l’Occidente riconosce da molto tempo al di là di ogni schieramento politico. Non capirlo, e accusare di «politicizzazione» i docenti in piazza per difendere questa dignità, è un gesto di vile codardia.
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