Fede, critica e unità: leggere l’eredità di papa Francesco

Soppesare il valore della vita di una persona non è facile. Si può supporre che ogni umana esistenza sia costellata da atti eroici e virtuosi, così come da errori ed inciampi, sia in parole sia in opere. A questa supposizione non si sottrae nemmeno la testimonianza di un papa. Infatti, in questi giorni di cordoglio per la morte di papa Francesco, oltre al grande affetto e alla riconoscenza verso il suo pontificato, qua e là emergono più o meno esplicite manifestazioni di dissenso.
Come valutare simili manifestazioni? Forse non è saggio considerarle né come fossero gratuite e ingiuste calunnie, né come rivelazioni in grado da mettere in dubbio l’intero operato di papa Francesco. Trovare un equilibrio di giudizio, comunque sia, non è semplice, in tempi in cui si ha spesso l’impressione che la Chiesa cattolica sia realmente divisa in due: fra sedicenti tradizionalisti e progressisti, conciliaristi e sedevacantisti, latinisti e volgaristi, ecc.
Facendo nostro il richiamo di sant’Agostino all’unità come primo tratto della cattolicità della Chiesa, come è possibile conciliare la testimonianza di un papa povero e per i poveri, attento alla pace, alla promozione della fraternità universale, del dialogo fra fedeli di religioni diverse, dell’ecologia integrale, con l’impressione che, dal punto di vista dottrinale, sia stato «eretico» (uso la parola che è stata impiegata da qualche cardinale sui social) in alcuni suoi pronunciamenti (per esempio sull’Inferno, sull’adulterio, ecc.)?
Per prima cosa conviene notare, come insegna il cattolicesimo più tradizionalista, che il magistero di un papa non è da considerarsi sempre infallibile. Il magistero ordinario di ogni papa e vescovo può essere valutato criticamente dai fedeli, facendo teologia. Tuttavia, accusare in maniera perentoria papa Francesco di eresia per alcune sue singole frasi dette o scritte qua e là fra testi dal valore molto diverso (interviste, discorsi, esortazioni apostoliche, encicliche, ecc.), significa esercitare un’infallibilità a rovescio. Così, per assurdo, è proprio chi si erge a giudice del papa che nega quell’infallibilità assoluta che gli vorrebbe conferire di principio.
Secondariamente, salvo di immaginare la dottrina di fede come calata dall’alto direttamente per mano di Dio, come accade per alcune interpretazioni del Corano, la storia della Sacra Tradizione ecclesiale testimonia di quanto faticoso sia stato e sia l’esercizio critico in ambito teologico per giungere alla dichiarazione di un dogma di fede.
Infine, anche alcuni fra i santi e dottori della Chiesa più illustri sono stati frettolosamente tacciati di eresia. Pensiamo a san Tommaso d’Acquino che, prima di diventare un riferimento teologico imprescindibile per il cattolicesimo (con la sua elevazione a Dottore della Chiesa nel 1567 a opera di papa Pio V), corse il rischio di essere condannato come eretico, per aver osato affermare che non ripugna alla ragione pensare l’eternità della creazione.
Perciò, per rimanere uniti come fedeli cattolici di fronte alla testimonianza di papa Francesco, conviene, forse, considerare che non tutte le sue singole parole sono da ritenere come pronunciamenti ex-cathedra e che le sue legittime opinioni teologiche possono essere rispettate senza necessariamente essere credute per fede. Forse, però, prima converrebbe a tutti conoscerle meglio, studiarle e pensarci su con più calma, al di là delle proprie tensioni emotive di apprezzamento o di diniego verso quanto da lui detto e fatto nel suo pontificato.
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