Pontificato inimitabile da cui bisogna ripartire

Todos, todos, todos, come diceva lui. C’erano tutti per il saluto finale a Papa Francesco nei tre atti e mezzo di una cerimonia solenne e lieve, in una Roma magnifica di luce primaverile.
Un antefatto in basilica, con i più attesi tra i leader mondiali, a confrontarsi liberamente. Poi la cerimonia solenne in piazza San Pietro, con l’omelia del cardinale decano, che scandisce, con voce vigorosa, la storia di un pontificato fuori dagli schemi, scandito sulla «gioia del Vangelo» e sulla realtà della «chiesa, una casa per tutti e con le porte sempre aperte».
Il corteo poi attraversa Roma caput mundi, con l’applauso di una folla che lo vedeva presente nel lungo nastro tra le due basiliche romane. Infine Santa Maria Maggiore, magnifica e semplice, l’oro donato dai re spagnoli proveniente dall’America Latina appena scoperta, rilucente sul soffitto ad accogliere nella totale semplicità il primo Papa iberoamericano che l’aveva visitata centosessanta e più volte.
Tutto si tiene: dai capi di Stato e dai cardinali, agli emarginati, ai bambini, al popolo indistinto, tutti, tutti, tutti. Senza negare divisioni e tensioni, ma comunque insieme. Un commiato vivace, inedito, che consegna papa Francesco alla storia.
Ma no! Impossibile, o, più esattamente, molto difficile nell’immediato. Proprio perché si è visto che la cifra del suo pontificato è proprio il movimento, il dinamismo.
E di qui dovrà muovere il suo successore, i cui connotati sono disegnati in questi giorni dalle congregazioni generali dei cardinali.
Un papato insomma che non si può imitare, né riprodurre, ma da cui bisognerà necessariamente ripartire in termini di incontro e appunto di porte aperte. Mettere a disposizione spazi, occasioni, idee, energie, anche per incarnare il carisma e l’annuncio del Vangelo e la grazia dei sacramenti. Lo si è visto nell’antefatto della cerimonia delle esequie, in basilica, in particolare tra il presidente statunitense ed ucraino.
Prima di arrivare alla sua tomba, che ha voluto appunto semplice rilanciando la lezione di Paolo VI. I pellegrini certamente numerosi che in questi giorni la visiteranno a partire dai giovani del giubileo degli adolescenti passeranno davanti al gruppo marmoreo della Madonna della pace, donato da Benedetto XV alla fine dell’inutile strage, come aveva definito al Grande Guerra. Certo oscurato dalla icona Salus populi romani, questo particolare non è meno importante, per indicare un impegno, la pace, che ha radici antiche e che tutti siamo chiamati a concretizzare, con la libertà e la passione per la verità che Francesco ha disseminato nel groviglio delle relazioni internazionali.
Roma, il Vaticano restano al centro dell’attenzione del mondo: tra pochi giorni il mondo tornerà in piazza San Pietro per guardare al comignolo della cappella Sistina.
Con quel senso di fiducia e di leggerezza che, dettando l’inedita ed efficacissima giornata del suo commiato, Papa Francesco ha saputo trasmettere e lasciarci il giorno del suo ultimo saluto. Propellente per un nuovo cammino.
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