L’export bresciano in Nord America: un business che vale due miliardi

Flavio Archetti
Dati che emergono dal rapporto elaborato dal Centro Studi di Confindustria
Il giro d'affari negli Usa dell'export bresciano vale due miliardi di euro
Il giro d'affari negli Usa dell'export bresciano vale due miliardi di euro
AA

Le incertezze e l’incapacità di leggere le situazioni molto mutevoli dei mercati internazionali possono costare alle imprese bresciane molti soldi, molte energie e molto tempo. Oggi per le aziende che esportano, conoscere la geopolitica è strategico, e dotarsi di personale e strutture che la padroneggino è determinante.

Rapporto

In modo particolare lo è diventato nei confronti del Nord America, dove il «made in Brescia» esporta per 2 miliardi di euro, e soprattutto degli Stati Uniti, che assorbono merci per 1,5 miliardi e sono stati trasformati dai primi mesi della politica del presidente Donald Trump in un «inaspettato punto interrogativo». Più nel dettaglio, secondo i dati elaborati dal Centro studi di Confindustria Brescia nel 2024 le aziende bresciane hanno esportato merce verso gli Usa per 1,577 miliardi di euro (il 7,8% del totale provinciale), verso il Canada per 159,4 milioni (0,8%) e verso il Messico per 195,9 milioni (1%).

Il settore più apprezzato oltre Atlantico è stato quello di macchinari e apparecchiature, acquistati per 603 milioni dagli Usa, per 46,7 milioni dal Canada e per 116,9 milioni dal Messico. Vista la rilevanza di questo grande mercato ad alta densità industriale, e la necessità di far crescere la consapevolezza degli attori del nostro sistema economico, Confindustria Brescia vi ha dedicato ieri mattina l’appuntamento di studio «Nord America: opportunità strategiche tra geopolitica, finanza pubblica e pianificazione doganale», organizzato con la collaborazione di Simest e la partecipazione di KPMG e Deloitte.

Interventi

Alla sua prima uscita ufficiale da vicepresidente di Confindustria Brescia (con delega all’internazionalizzazione), Maria Chiara Franceschetti ha ricordato che «Oggi la parola d’ordine è derisking. Saper leggere gli scenari mondiali per un’azienda può fare la differenza e l’obiettivo di Confindustria è diffondere consapevolezza per far crescere il nostro sistema imprenditoriale. In mercati sempre più turbolenti serve prepararsi a gestire l’incertezza, attraverso una governance attenta, lucida e reattiva».

I relatori dell'incontro -  © www.giornaledibrescia.it
I relatori dell'incontro - © www.giornaledibrescia.it

Dopo di lei, partendo dalla premessa che le scelte geopolitiche possono incidere (e magari molto) sulla logistica internazionale, sulle catene di approvvigionamento, sugli energetici e sugli aspetti finanziari, il direttore degli affari strategici e internazionali di Deloitte, Beniamino Irdi, ha evidenziato come «gli Stati Uniti sono al primo posto nelle mire di espansione delle imprese lombarde aderenti a Confindustria, il Canada è al settimo, e per il 72% di loro in questo momento la preoccupazione più grande è la variabile politica».

Irdi ha ricordato anche «La necessità per chi esporta di dotare la sua organizzazione di strutture capaci di processare le situazioni geopolitiche, mappando tutte le variabili che incidono nel lavoro di export e integrando il rischio tra le voci che determinano le decisioni aziendali». In tema di dogane, il responsabile del commercio internazionale e delle dogane di KPMG, Massimo Fabio, ha spiegato che «Il diritto doganale non è un mero adempimento, quello è l’ultimo miglio. A monte ci sono strategie, anche complesse, che consentono alle aziende di evitare salassi e pagamenti, spesso ingiusti», e ha fatto l’esempio della collaborazione tra un’impresa italiana e una cinese dell’automotive, capaci di aggirare i dazi legalmente collaborando: «Il motore arrivava in Italia grezzo dalla Cina, qua veniva rifinito diventando made in Italy, e poi prendeva la via degli Usa senza dazi». Anche questo significa esercitare una governance attenta e reattiva.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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