Europa e difesa: costi alle stelle e vuoti da colmare

I Paesi Nato dovrebbero aver raggiunto la «soglia minima» del 2% nel rapporto spese difesa/Pil. L’Italia ferma a 1,5%
Un convoglio militare italiano durante una missione - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Un convoglio militare italiano durante una missione - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Il profluvio di dati dopo l’annuncio del ReArm Europe ha creato notevole confusione e, specie in Italia, una ridda di dichiarazioni pro o contro la «corsa alle armi». Come sempre, però, nell’agone politico si perdono di vista la reale situazione e i troppi «nodi» che sono venuti al pettine e non sarà facile districare.

Non è infatti solo un problema di risorse. Già oggi, infatti, Ue e Stati Uniti spendono per la difesa 1.339 miliardi di dollari (882 gli Usa, 457 la Ue). La Russia, in guerra da tre anni, ufficialmente 146, il 6,7% del Pil. In realtà tale somma varrebbe assai di più, secondo alcuni il triplo: produrre armi in Russia, infatti, costa molto meno, per ampia disponibilità di materie prime e basso costo dell’energia e perché le aziende, quasi del tutto a controllo pubblico, fan profitti con l’export ma non in Patria. Al contrario delle industrie occidentali, che puntano al profitto, mai così alto come dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, che ha creato un «effetto Superbonus». Le materie per la produzione armiera sono infatti più difficili da reperire e registrano pesanti rincari: acciaio +40/60%, esplosivi +90%, circuiti stampati +65%, carpenteria leggera +105%, alluminio tra +10 e 50%.

Il sito «Analisi difesa» fa alcuni esempi: una granata d’artiglieria da 155mm (senza spoletta e carica di lancio) è passata da 2.500 a 4.000 euro; il solo corpo di una bomba d’aereo Mk80 (senza cioè sistemi di guida) da 5 a 9mila euro, ecc. Washington è alle prese con un debito federale che per il Congressional budget office supererà 1.000 miliardi nel 2026: quindi spinge perché l’Europa si accolli maggiori spese per la difesa. Concetto però non certo nuovo: è dal Vertice in Galles del 2014 che i Paesi Nato dovrebbero aver raggiunto la «soglia minima» del 2% nel rapporto spese difesa/Pil. L’Europa però ha nicchiato e la soglia è stata da poco raggiunta solo da 19 Paesi. L’Italia, col suo 1,5% (gonfiato da quasi 8 miliardi per i Carabinieri) è 24, su 30.

Washington vuol ridurre di ben 300 miliardi le spese per la difesa, ma non può farlo né nel Pacifico, né sul nucleare: quindi risparmia in Europa, contando sul fatto che questa, per la fretta, dovrà acquistare molti sistemi «made in Usa», perché colmare l’attuale gap industriale-militare le richiederà decenni.

Ma tanti fondi servono soprattutto perché l’Ue della difesa ha investito negli ultimi 30 anni troppo poco in ricerca, tecnologia e sistemi avanzati; in più sconta sprechi, economie di scala troppo piccole, duplicazioni e mancanza di coordinamento in troppi settori (ogni Paese infatti sviluppa i suoi prodotti per far lavorare le sue aziende). Finisce così per ricorrere massicciamente ad acquisti made in Usa (il 55% delle importazioni nel 2023), Corea del Sud e UK.

Esercito italiano. Militari in azione
Esercito italiano. Militari in azione

Inoltre l’ingente budget globale è sbilanciato verso il personale (Roma è un caso eclatante: il 60% va in stipendi). È il problema più ostico: l’Ue «senza Usa» dovrebbe infatti dotarsi di altre 50 brigate ed equipaggiarle: ovvero trecentomila soldati in più. Impresa impossibile con gli attuali sistemi: tutti, infatti, incontrano da anni gravi difficoltà di arruolamento, accentuatesi con la guerra, che non compensano neppure le dimissioni.

Per colmare il gap Varsavia mira a dare un’istruzione militare di base a tutti. Roma pensa a riserve (sino a trentamila, non si sa bene reperite dove), ma non ha ancora concretizzato la già ventilata «riserva operativa» di diecimila (da aggiungere a una logistica di pari dimensioni). Molti guardano al «modello scandinavo»: milizie territoriali in cui tutti contribuiscono alla difesa (operazione però più semplice con pochi abitanti «coesi» e vaste estensioni disabitate).

Ma, senza catastrofismi, si può recuperare, attribuendo finalmente alla Difesa ruolo e ragion d’essere troppo a lungo ritenuti secondari. Senza piani faraonici, solo raggiungendo la soglia del 2%, l’Italia potrebbe infatti rimediare a molti vuoti: a cominciare per esempio dalla difesa antiaerea, che, già al minimo, è stata depauperata a favore di Kiev; o dalle riserve di munizioni per l’artiglieria (già «scarse» prima della guerra). Non per correre alle armi: scontiamo, specie nel settore terrestre, ritardi decennali. Si tratta solo di rendere credibile la nostra deterrenza.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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