Bce taglia i tassi, Europa tra dazi Usa e piano per la difesa

Prosegue la fase «meno restrittiva» della politica monetaria, alla luce non solo della disinflazione in corso, ma anche dei possibili effetti recessivi dell’incertezza sui mercati internazionali
Christine Lagarde alla guida deòla Bce - © www.giornaledibrescia.it
Christine Lagarde alla guida deòla Bce - © www.giornaledibrescia.it
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L’altro ieri c’è stato il Consiglio direttivo della Bce, che ha deciso un ulteriore taglio di 25 punti base dei tassi di policy; sta così proseguendo la fase «meno restrittiva» della politica monetaria, alla luce non solo della disinflazione in corso, ma anche dei possibili effetti recessivi dell’incertezza sui mercati internazionali. Questa dipende soprattutto dai dazi introdotti o minacciati da Trump. La loro giustificazione è debole, specie nel caso delle esportazioni europee. Infatti, se è vero che il saldo commerciale bilaterale è attivo per l’Ue, sebbene di entità inferiore alle affermazioni del tycoon (nel 2024 era quasi 190 mld. di euro), esso si riduce molto considerando anche il saldo dei servizi (attivo per gli Usa e pari a 150 mld.).

Inoltre il complessivo saldo della bilancia corrente dei pagamenti, positivo per l’Ue, è compensato da ingenti deflussi di capitale, dall’Ue verso gli Usa. Può darsi che Trump usi l’arma dei dazi non solo per indurre l’Ue ad una maggiore spesa militare, ma anche come pressione per farle acquistare quantità ancora maggiori di titoli di Stato Usa (in presenza di un debito pubblico elevato e crescente).ù

Quanto alle conseguenze, i dazi saranno deleteri non solo per i Paesi esportatori, ma per gli stessi Stati Uniti, a causa delle ritorsioni da parte degli altri Paesi, nonché a forme (già evidenti) di boicottaggio di prodotti «made in Usa». Inoltre l’inflazione aumenterà in quel Paese per l’aumento dei prezzi sia dei prodotti importati sia di quelli di produzione americana, a causa dell’incidenza delle componenti importate nelle odierne filiere produttive.

Sempre giovedì c‘è stata una riunione straordinaria del Consiglio europeo, dove la presidente della Commissione, von der Leyen, ha presentato il piano «ReArm Europe». Un passaggio importante questo - si parla di 800 mld. di euro in quattro anni - per segnalare al mondo (in primis alla Russia) che «l’Europa c’è»; molti dettagli del piano non sono ancora stati definiti, ma una valutazione è già possibile. Un primo rilievo è che il problema cruciale per l’Ue non è tanto quello di innalzare molto la spesa militare complessiva, già elevata (la spesa europea è del 58% superiore a quella russa secondo le stime di Carlo Cottarelli), ma piuttosto quello di evitare frammentazioni, duplicazioni ed inefficienze. Inoltre gli acquisti di mezzi militari al momento beneficiano in gran parte l’industria americana, per cui bisognerebbe accrescere le capacità produttive in Europa.

Il piano di von der Leyen prevede diverse modalità di finanziamento. Alcuni politici italiani, della maggioranza e dell’opposizione, hanno manifestato contrarietà all’ipotesi di attingere alle somme originariamente previste per i fondi di coesione. Possiamo aggiungere che l’esclusione delle nuove spese militari dalle regole del Patto di stabilità, che nel breve periodo è un’indubbia valvola di sfogo, nel lungo andare costituisce comunque un notevole handicap per i Paesi molto indebitati come l’Italia. È vero che l’allentamento delle regole sul debito è ora visto con minor ostracismo (la stessa Germania sta modificando la clausola costituzionale di «freno al debito» e Merz ha proposto un pacchetto pluriennale di spesa tra gli 800 e 1.000 mld. per la difesa e le infrastrutture), ma bisogna stare attenti alla possibile reazione dei mercati. Più condivisibile sarebbe un maggior ricorso (alquanto limitato nella proposta di von der Leyen) al debito pubblico «europeo»: la sicurezza esterna, che è un «bene comune», dovrebbe essere gestita a livello comunitario.

Ad ogni modo, se dovesse passare il principio della difesa comune europea, ci si potrebbe chiedere perché non procedere ad una maggiore integrazione anche su altri fronti (adottando se necessario lo strumento delle cooperazioni rafforzate in presenza di veti da parte di qualche Paese). In realtà, pur accettando la validità dell’antico detto «se vuoi la pace prepara la guerra», andrebbe precisato che l’intensità dello sforzo militare deve essere correlata non solo alle concrete minacce nell’attuale contesto geopolitico ma anche alle molteplici finalità economico-sociali (altrimenti il progressivo taglio delle spese per il Welfare si ritorcerebbe contro la stessa Ue, come abbiamo cominciato a vedere nelle recenti elezioni europee). Sarebbe infine opportuno che l’Ue - che finora ha garantito, per la prima volta nella storia, un lungo periodo di pace nel Vecchio Continente - dovrebbe divenire non solo un’autorevole potenza militare ma anche un «global player» con elevate capacità di mediazione (che potrebbero esserle riconosciute anche da molti Paesi del «Sud globale»).

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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