Crisi Thailandia-Cambogia, le ricadute su Usa e Cina

A dicembre le ostilità sono riprese violentissime, con decine di vittime. Al centro della disputa 800 chilometri di confine e le risorse marittime della Oca
Soldati thailandesi con un cittadino cambogiano accusato di essere una spia - Foto Ansa/Epa/Rungroj Yongrit © www.giornaledibrescia.it
Soldati thailandesi con un cittadino cambogiano accusato di essere una spia - Foto Ansa/Epa/Rungroj Yongrit © www.giornaledibrescia.it
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Sono trascorse poche settimane da quando Donald Trump ha annunciato con roboanti dichiarazioni («Abbiamo salvato milioni di vite...») un accordo di pace tra Thailandia e Cambogia, che aveva posto fine agli scontri che a luglio avevano causato 48 morti al confine tra i due Paesi. In realtà quello firmato in ottobre a Kuala Lumpur, in Malesia, presidente di turno dell’Asean (l’Associazione delle nazioni del Sud Est asiatico, di cui entrambi i Paesi fanno parte), era solo la conferma del cessate il fuoco già deciso a luglio e ha lasciato di fatto irrisolta la disputa.

Le ostilità

A dicembre le ostilità sono riprese violentissime, con decine di vittime. Dopo la morte di un ranger thailandese e il ferimento di altri a causa di una mina cambogiana, infatti, la Rtaf (Royal Thai Air Force) ha bombardato posti di comando e infrastrutture militari (ma anche civili, come un casinò, in cui si ritene fossero celati lanciarazzi) della Cambogia. Ai raid aerei si sono aggiunti scambi di artiglieria e formazioni corazzate thailandesi hanno varcato la peraltro mai ben definita linea di confine, contrastate dai lanciarazzi cambogiani.

Si calcola che già mezzo milione di persone abbiano dovuto lasciare le loro case nel cosiddetto «Triangolo di smeraldo» e nei dintorni del tempio di Preah Vihear. Proprio questo, costruito nel decimo secolo sopra una scogliera che domina la pianura cambogiana, è uno dei luoghi più contesi: nel 1962 la Corte internazionale di giustizia l’assegnò alla Cambogia, ma Bangkok rivendica le terre circostanti, ritenendo un errore coloniale la mappa utilizzata dalla Corte. Gli 800 km di confine, infatti, tra i due Paesi sono in buona parte ancora indefiniti, basati sul poco preciso trattato franco-siamese (Siam è l’antico nome della Thailandia) del 1907 che avrebbe dovuto risolvere le contese tra i regni Khmer.

Ma in gioco c’è anche il controllo delle risorse marittime della Oca (Overlapping claims area, area di rivendicazioni sovrapposte) un settore di 27.000 kmq nel Golfo di Thailandia rivendicato da entrambi dal 1972. L’area potrebbe contenere tremila miliardi di metri cubi di gas naturale, oltre a grandi quantità di idrocarburi. I negoziati sulla cooperazione per l’esplorazione energetica sono in stallo da tempo, mentre la narrazione nazionalista cambogiana rivendica in particolare l’isola di Koh Kood, internazionalmente riconosciuta thailandese.

I rapporti e il confronto militare

Il riaccendersi degli scontri tra due membri crea un grave danno alla credibilità internazionale della Asean Way (prassi) della «non ingerenza»: la situazione è precipitata in particolare dopo la deposizione di Paetongtarn Shinawatra, 38 anni, la più giovane premier della storia thailandese, rampolla di una dinastia politica. Paetongtarn aveva telefonato a luglio con toni deferenti a Hun Sen, per decenni premier incontrastato della Cambogia (ora governata dal figlio Manet) per cercare di comporre la disputa, ma l’atteggiamento le è costato il posto: è stata infatti destituita dalla Corte costituzionale e al potere sono tornati i militari.

Militarmente, sulla carta il confronto tra Thailandia e Cambogia è impari. Bangkok investe in difesa ogni anno quasi 6 miliardi di dollari contro circa 850 milioni di Phonm Penh: ha un’aeronautica moderna, equipaggiata con caccia F16 e Gripen e una solida componente corazzata (con tank M60 A3). Ma la fanteria cambogiana può sfruttare il terreno, ricoperto di foreste poco adatte alle formazioni meccanizzate e punta sul fuoco dell’artiglieria, con intenso uso di razzi campali di fabbricazione russa e cinese, oltre che sui droni, che fanno la prima comparsa anche in questo sinora inedito contesto.

Le conseguenze

La chiusura delle frontiere sta già danneggiando un asse commerciale che vale miliardi di dollari e anche il settore turistico (remunerativo per entrambi) rischia di franare, specie attorno al verde arcipelago di Koh Kood.

La disputa è potenzialmente molto grave anche dal punto di vista internazionale: la Thailandia, infatti, è alleata degli Usa, mentre la Cambogia è legata a filo doppio con la Cina. Washington e Pechino non hanno certo interesse ad aprire un nuovo fronte, ma se gli scontri si prolungassero e la crisi si incancrenisse le due super potenze potrebbero essere costrette a incrementare il loro supporto: l’auspicio è che ciò basti a spingerle a mediare un nuovo cessate il fuoco.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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