Fine di un incubo autoritario, riscatto democratico della Corea del Sud

Il 3 dicembre scorso la proclamazione della legge marziale da parte dell’allora capo di Stato, Yoon Suk-yeol, aveva rischiato di far ripiombare Seul in un baratro
Yoon Suk-yeol, ex capo di Stato della Corea del Sud
Yoon Suk-yeol, ex capo di Stato della Corea del Sud
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«Dichiarando la legge marziale in violazione della costituzione e di altre leggi, l’imputato ha riportato indietro la storia agli abusi compiuti per mezzo dei decreti di emergenza statale, ha scioccato il popolo e causato confusione nella società, nell’economia, nella politica, nella diplomazia e in tutti gli altri ambiti».

Queste parole, pronunciate dal Presidente della Corte Costituzionale sudcoreana, Moon Hyung-bae, hanno messo una pietra tombale sui drammatici eventi del 3 dicembre scorso, quando l’inimmaginabile proclamazione della legge marziale da parte dell’allora capo di Stato – Yoon Suk-yeol – aveva rischiato di far ripiombare la Corea del Sud in un baratro autoritario da cui si pensava fosse definitamente emersa quasi quattro decenni orsono.

La decisione di Yoon, infatti, non derivava da giustificazioni costituzionali, ma dalla convinzione (o dalla strategia) che la legge marziale fosse necessaria per combattere le forze «anti-Stato» – vale a dire sostanzialmente i partiti di opposizione in Parlamento – accusate di minare la stabilità del paese.

All’annuncio del verdetto, che ha visto gli otto giudici della Corte concordi sulla decisione, la Corea ha finalmente tirato un grosso sospiro di sollievo e le scene di giubilo nelle strade di Seul si sono moltiplicate. Cionondimeno, la crisi provocata da Yoon ha rivelato apertamente la profonda polarizzazione in cui versa non solo l’ambiente politico ma anche la società sudcoreana, attraversata da tensioni provocate da coloro che ritenevano, assurdamente, che il Presidente avesse assunto la decisione più corretta per il bene del Paese.

Molti di questi hanno agito da cassa di risonanza per le narrazioni diffuse da influenti YouTuber di destra che hanno costantemente sostenuto Yoon: che la legge marziale era necessaria per proteggere il paese dall’opposizione filo-Corea del Nord, e che il partito conservatore di Yoon era vittima di una frode elettorale, riferendosi allo schiacciante successo ottenuto dai progressisti nell’aprile dello scorso anno in occasione delle elezioni legislative.

Tutto ciò è culminato in un movimento originariamente marginale che è diventato man mano più energico ed estremo, riversandosi dagli schermi dei computer nelle strade. I cartelli «Stop the Steal» – già utilizzati dai sostenitori del presidente degli Stati Uniti Donald Trump – sono diventati un appuntamento fisso nelle manifestazioni pro-Yoon.

Nel momento stesso in cui la Corte Costituzionale ha confermato la destituzione di Yoon, si è comunque aperta una nuova fase per la Corea del Sud.

Per adesso, il Primo Ministro Han Duck-soo continuerà a guidare il paese cercando di tenerlo a galla nelle torbide acque rappresentate dalle annose sfide esterne che includono il rafforzamento della cooperazione militare tra Corea del Nord e Russia e lo sconvolgimento nel commercio globale provocato dai nuovi dazi introdotti dal presidente Donald Trump.

Dopo quattro mesi durante i quali il paese ha vissuto col fiato sospeso si tratta comunque di riguadagnare una rotta che sembrava essere stato completamente smarrita. Le elezioni presidenziali anticipate, che dovranno svolgersi entro i prossimi sessanta giorni, non solo determineranno il successore di Yoon – in questo momento il candidato più forte alla presidenza è certamente Lee Jae-myung, esponente progressista – ma metteranno anche alla prova la capacità del Paese di superare la crisi istituzionale senza compromettere i suoi valori democratici fondamentali.

Le sfide sono molteplici e il Paese si trova ora a un bivio: da un lato, la possibilità di riprendersi da una crisi che, pur avendo messo in discussione l’assetto costituzionale, potrebbe rafforzare la democrazia sudcoreana se gestita con successo; dall’altro, il rischio di un indebolimento irreparabile delle istituzioni se le divisioni politiche non dovessero essere sanate.

La reazione del popolo sudcoreano e dei suoi leader sarà decisiva in questo periodo di transizione. Se il processo elettorale si svolgerà in un clima di confronto civile e non di conflitto, la democrazia coreana avrà una chance di emergere più forte, ma se la polarizzazione prevalesse, il Paese potrebbe trovarsi ad affrontare una nuova stagione di instabilità.

Una delle molteplici manifestazioni di protesta in Corea del Sud
Una delle molteplici manifestazioni di protesta in Corea del Sud

In conclusione, l’impeachment di Yoon non solo segna la fine di un periodo controverso della politica sudcoreana – sebbene l’asprezza del confronto politico e sociale degli ultimi quattro mesi non potrà essere cancellata con un colpo di spugna – ma apre altresì un momento di riflessione per la nazione.

La crisi istituzionale in atto mette certamente a dura prova il sistema democratico, ma al contempo offre l’opportunità di riaffermare i principi fondamentali su cui si basa la Repubblica di Corea. Il modo in cui il Paese affronterà questa fase di transizione avrà ripercussioni a lungo termine sulla sua stabilità politica e sulla sua posizione sulla scena internazionale.

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