Dazi Usa, non si torna più indietro

I dazi di Trump all’Europa hanno ora cifre concrete e motivazioni dirompenti. Rendono ancor più certa la fine di uno scenario che ha caratterizzato il secondo dopoguerra. Gli europei sono considerati parassiti di lunga lena ai danni dell’America. Il sentimento di solitudine, che ne scaturisce sullo scacchiere mondiale, impone di lavorare ad una solidarietà europea che costruisca un nuovo ordinamento modificando le relazioni interne.
Si dice che Trump minaccia per trattare da posizioni di forza, ma quando le azioni veicolano nei fatti le conseguenze delle parole è problematico ingranare la retromarcia. Pur ammesso, e per nulla concesso, che se ne abbia la volontà. Invece avanti tutta.
Forse avevamo guardato con troppo distacco alle elezioni presidenziali Usa, ritenendo che i fondamentali di politica estera sarebbero rimasti immutati. Al contrario Trump, da subito, ha chiarito che tutto cambiava. E lo avrebbe fatto in tempi rapidi. Se nella sua strategia c’è lo spacchettamento ulteriore dell’Europa, sfruttando i marcati nazionalismi che ci caratterizzano, al dunque non ha praticato sconti agli uni piuttosto che agli altri, ma ha coinvolto tutti nel piano di delegittimazione politica e di sanzione economica.
Nel giro di poche settimane dovremo decidere il da farsi, confrontandoci con la situazione reale in campo. Se c’era chi sperava che le relazioni personali della Meloni le consentissero di svolgere una funzione di mediazione e di ponte tra gli interessi in conflitto, ora quella prospettiva appare svanita e sostituita dalla necessità di schierarsi con una parte. Tanto che alla narrazione del governo italiano come del più forte, stabile e duraturo si frappone l’altra di un eventuale voto politico anticipato il prossimo anno.
“Oil prices are down, interest rates are down (the slow moving Fed should cut rates!), food prices are down, there is NO INFLATION, and the long time abused USA is bringing in Billions of Dollars a week from the abusing countries on Tariffs that are already in place.” —POTUS pic.twitter.com/LhoMgc6qMX
— The White House (@WhiteHouse) April 7, 2025
Per evitare di andare alla scadenza naturale e di essere coinvolti in una pesante caduta economica, che la guerra militare in Ucraina e quella commerciale con gli Usa fanno prevedere come sbocco inevitabile. Da quanto avviene in queste settimane non si torna indietro.
Putin sta a guardare la contrapposizione tra Usa ed Europa e scruta le mire di Trump sulla annessione, pacifica o meno, della Groenlandia come un lasciapassare. Con l’intenzione di trarne profitto sui suoi progetti di allargare i confini verso quelli che appartenevano all’Unione Sovietica. La Cina ipotizza che, se Usa e Russia possono imporre la logica della forza negli scenari di loro interesse, può annettersi a sua volta Taiwan, come ambisce da sempre. Le regole del diritto internazionale sono misconosciute e fatte a brandelli.
La precarietà internazionale la fa da protagonista nella incompiutezza degli scenari nazionali, che vedono quotidianamente rimescolarsi le attese e le posizioni dei partiti che compongono la maggioranza e la dialettica aspra tra le diverse opposizioni, che non riescono ad individuare un minimo comun denominatore. Eppure è inevitabile dover scegliere. Trump, Putin, Xi Jinping, Ursula von der Leyen possono essere gli acceleratori che costringono ad individuare una politica nazionale strutturata ed operativa.
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